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“Baby Blue”, il viaggio nella distopica felicità svedese della fumettista Bim Eriksson

Nella Svezia distopica della fumettista Bim Eriksson, la disoccupazione praticamente non esiste e il pil e il tenore di vita medio hanno toccato livelli mai visti. Il segreto? Secondo il primo ministro, è che gli svedesi sono felici, quindi più produttivi e più “socialmente funzionali”. Merito anche dei socioguardiani, poliziotti specializzati che fanno rispettare in tutto il paese l’obbligo alla felicità. Eh sì, perché in questa Svezia che non sembra poi tanto lontana negli anni da quella attuale, felicità e benessere psicologico sono imposti per legge. È vietato mostrare anche il minimo segno di sconforto, disagio mentale, rabbia o tristezza. Vietato ascoltare musica ‘deviata’, che può provocare reazioni scomposte. Vietato anche farsi scappare due lacrime se si vede un uomo buttarsi sotto un treno, come capita alla protagonista di Baby Blue, la ventenne Betty Pott, che viene segnalata per comportamento anomalo. Cosi’, all’improvviso, Betty rischia di doversi sottoporre a un trattamento sanitario obbligatorio e inizia un percorso di rieducazione alla felicità che passa anche per la somministrazione di una droga tanto efficace quanto mortalmente pericolosa. Ma il passaggio in ospedale le permetterà anche di fare un incontro che le cambierà, e le salverà, la vita, aprendole le porte di un’improbabile resistenza clandestina a questa società neofascista.
Oltre a raccontare una storia complessivamente disturbante, anche perché la dittatura della felicità in nome dell’obbedienza e della produttività non sembra poi un futuro così improbabile, Eriksson accentua il disagio dei lettori con il suo stile molto particolare e grottesco. I suoi personaggi hanno proporzioni assurde: delle teste minuscole su corpi giganti e goffi, degli occhi senza pupille al centro di volti dalle fronti spaziose e con capigliature particolari, che sembrano quasi maschere teatrali di cera. Mentre le strane maschere che portano per davvero alcuni personaggi sono molto più realistiche, tenere e dettagliate delle loro vere facce. Tutta questa umanità varia, compresi gli inquietanti socioguardiani, è dipinta con un tratto fine e preciso e si muove attraverso una serie di vignette classiche e ben definite, ma costruite con inquadrature tagliate malamente. Un po’ come a ricordarci che anche all’interno di un quadro che si vuole normale e normato c’è qualcosa di straniante, che può sempre sfuggire al controllo. E che la cosa, per quanto possa sembrare disturbante, non è sempre così negativa come si potrebbe credere.
Uscito in Svezia nel 2021, in un periodo che annunciava i successi a venire dell’estrema destra svedese, Baby Blue prende spunto da altri famosi romanzi distopici come 1984, Il mondo nuovo, o Kallocaina, della compatriota Karin Boye (bo-ié). Anche la Boye aveva immaginato l’esistenza di una droga capace di instupidire e manipolare le persone, impedendo loro di provaresentimenti, ritenuti nocivi per il funzionamento della società. Come ricorda una delle protagoniste di questo graphic novel: “Immagina di non poter più provare rabbia o paura quando vieni trattata male. Se sei sempre allegra e felice, come farai poi a opporti? O a dire di no? O a reclamare e difendere i tuoi diritti?”.

Baby Blue. Di Bim Eriksson, traduzione di Alessandro Storti. 264 pagine in monocromia. Add Editore, 25 euro

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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