Sugli zainetti termici colorati parole e slogan si sovrappongono. Si legge “Ogni desiderio è un ordine”, “My Menu. Consegne a puntino”. Sullo sfondo degli uffici dei dirigenti dell’azienda, i rider si raccolgono dietro a uno striscione e si dichiarano, invece, “licenziati a puntino”. Si sono dati appuntamento davanti alla sede milanese del gruppo Pellegrini, il proprietario di My Menu. Doveva essere la risposta italiana alle grandi piattaforme digitali delle consegne di cibo a domicilio. Ha lasciato senza lavoro trecento rider, circa 50 in Lombardia.
La multinazionale Just Eat è subentrata nell’attività che fino a poche settimane fa veniva fatta da My Menu. Di fatto è una cessione, ma è stata messa in atto attraverso un accordo commerciale. In questo modo l’operazione sta avvenendo senza alcun vincolo di responsabilità sociale verso i rider: un passaggio di consegne senza gli addetti alle consegne.
Una scelta improvvisa e sorprendente. My Menu l’ha motivata parlando di insostenibilità economica, quando appena un anno fa aveva deciso, al contrario, di procedere con le assunzioni a tempo indeterminato. A Milano e in Lombardia, la beffa più crudele colpisce in modo particolare 23 rider. Avevano da poco firmato contratti subordinati da 20 alle 36 ore lavorative a settimana, ricevevano stipendi che arrivavano a circa 1300 euro al mese. Niente con cui arricchirsi, ma una conquista preziosa dopo cinque anni di lavoro con la stessa azienda da precari e sottopagati. Ora, invece, Pellegrini e Just Eat stanno presentando loro altre offerte di lavoro attraverso colloqui individuali.
Proposte tutte peggiori rispetto ai contratti che avevano faticosamente raggiunto: dieci-quindici ore part-time come addetti alle consegne o alle pulizie, a tempo determinato, con la prospettiva futura (forse, chissà) di una stabilizzazione. Proposte che i rider hanno giudicato irricevibili. Per loro la prospettiva è perdere ogni certezza, proprio quando era stata finalmente raggiunta.
Non riconosciuti gli anni con contratti di collaborazione come il Co.Co.Co., il rischio ora per questi rider è di ritrovarsi con una Naspi, un’indennità di disoccupazione, molto più breve in proporzione a quanto hanno lavorato. Un danno economico e personale in più, oltre a quello del licenziamento.