
Nel 2018, i sauditi uccisero nel loro consolato di Istanbul Jamal Khashoggi, un loro dissidente che da tempo viveva e lavorava negli Stati Uniti. Gli articoli di Khashoggi sul Washington Post avevano messo a nudo le malefatte della casa reale dell’Arabia Saudita, da anni sotto il controllo del principe ereditario Mohamed Bin Salman.
Nel 2025, ieri per l’esattezza, Riad ha ospitato il primo vertice dopo anni di gelo tra russi e americani, un vertice che potrebbe anche essere il primo passo verso la fine della guerra in Ucraina.
Cosa è successo in questi sette anni? La vicenda Khashoggi non aveva provocato il totale isolamento dell’Arabia Saudita dal resto della comunità internazionale, ma sicuramente la sua immagine, soprattutto a livello di opinione pubblica, era stata macchiata in maniera importante. Il binomio Arabia Saudita – violazione dei diritti umani ne era uscito rafforzato.
Bene, nonostante tutto questo, oggi Riad è in una posizione importante non solo a livello regionale ma anche internazionale, come dimostra appunto il vertice russo-americano di ieri. Per arrivare a questo punto, i sauditi lavorano da tempo, da prima dell’omicidio Khashoggi, seguendo diverse direttrici: modernizzazione interna per cambiare anche la sua immagine nel mondo, affermazione del suo ruolo di leadership in Medio Oriente, ricerca di uno spazio di rilievo a livello globale. Le direttrici sono ovviamente collegate tra loro.
Da diversi anni ormai, Riad lavora per diversificare il suo sistema economico. Rimane sì centrato sul petrolio, ma non solo. Ci sono innovazione e tecnologia, così come nuovi investimenti, anche esteri, in settori che prima quasi non esistevano, come lo sport e lo spettacolo. Pensate alla Supercoppa italiana di calcio.
Sul fronte regionale, i sauditi stanno riaffermando proprio in questo momento il loro ruolo grazie, diciamo così, alla guerra a Gaza. Nonostante i buoni rapporti con gli americani, e a maggior ragione con Trump – durante la sua prima presidenza fece il suo primo viaggio all’estero proprio in Arabia Saudita – si sono opposti alla proposta della Casa Bianca di svuotare la Striscia e hanno ricordato a Washington che la prima cosa da fare è lo stato palestinese. Non certo quello che volevano sentirsi dire Trump e Netanyahu. Venerdì, Riad ospiterà il vertice con il quale i principali paesi arabi risponderanno alle uscite dell’amministrazione americana su Gaza.
Ma Trump ha bisogno dei sauditi, perché il loro riconoscimento di Israele è la più ricca moneta di scambio che la Casa Bianca possa offrire a Netanyahu in cambio di un accordo di pace con i palestinesi. E questo fa aumentare la centralità di Riad, anche a discapito del ruolo iraniano, visto che Teheran ha sempre cercato di essere visto come il principale protettore dei palestinesi nel mondo musulmano.
La terza direttrice è uno spazio di rilievo a livello globale. I sauditi stanno anche sfruttando una fase internazionale piuttosto confusa, dove si fa fatica a individuare gli attori più pesanti. Qui la strategia è stata quella di diversificare: non solo il vecchio rapporto con Washington grazie al petrolio, anche perché gli americani sono energeticamente autosufficienti, ma anche ottime relazioni con Cina e Russia. È stata Pechino, per esempio, a facilitare pochi anni fa la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran. Grazie a questa diversificazione, i sauditi oggi possono chiedere e dare. Anche da qui la scelta di Riad come luogo dell’incontro di ieri tra russi e americani.