Migliaia di persone stanno manifestando a Qatif, nell’est dell’Arabia Saudita, per protestare contro l’esecuzione di 47 detenuti.
Tra loro l’Imam sciita Nimr al-Nimr, 55 anni, strenuo oppositore della monarchia sunnita del Bahrein che represse duramente le proteste del 2011. Riad mandò le sue truppe per aiutare a schiacciare la rivolta, temendo un contagio all’interno dei suoi confini.
Amnesty International aveva definito la condanna a morte del religioso sciita come parte di una campagna condotta dalle autorità saudite per “reprimere ogni dissenso”.
Prima del suo arresto nel 2012 al-Nimr aveva detto che la gente non vuole governanti che uccidono o compiono ingiustizie contro chi protesta. Il religioso non ha negato le accuse politiche contro di lui, ma ha sempre affermato di non aver mai portato armi o incitato a compiere atti violenti. Qatif è la città a più alta concentrazione sciita dell’Arabia Saudita e l’imam era nato in un villaggio a pochi chilometri da lì, da cui sono partiti i primi manifestanti, gridando slogan contro la famiglia reale.
Le conseguenze delle esecuzioni decise dal governo non si sentono solo in Arabia Saudita: proteste sono state annunciate in Bahrein, Paese a maggioranza sciita ma governato da una casa reale sunnita. Altre proteste sono scoppiate nel Kashmir indiano. Dura la reazione dell’Iran, che ha avvertito l’Arabia Saudita: “L’esecuzione di Nimr vi costerà cara”, ha dichiarato il ministero degli Esteri iraniano. Durissimo l’ayatollah Ahmad Khatami, membro dell’influente Assemblea di esperti della repubblica islamica e tra i religiosi più in vista dell’Iran, che ha denunciato la natura “criminale” della famiglia reale saudita.
Secondo i dati di Amnesty International, l’Arabia Saudita è tra i Paesi con il più alto numero di esecuzioni nel mondo, secondo solo a Cina e Iran: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone. Da gennaio ad agosto 2015, le esecuzioni sono state più di 150. Le condanne sono state eseguite tramite decapitazione.
Ascolta l’intervista a Riccardo Noury portavoce di Amnesty Italia