La Corte Suprema dell’Arabia Saudita ha rigettato l’appello contro la sentenza di condanna a morte per il leader religioso sciita Nimr al-Nimr, il cui arresto, nel 2012, portò all’esplosione di proteste e all’uccisione di tre dimostranti.
Secondo la famiglia di al-Nimr, la sentenza è stata emessa senza che ne venisse data notifica agli avvocati del condannato. La sorte del religioso è ora nelle mani di re Salman, l’unico che possa revocare la sentenza.
Nimr e altri sei sciiti sauditi, tra cui il nipote Ali, sono stati condannati a morte, per poi essere esibiti senza vita in pubblico. Si tratta della sentenza più severa contemplata dal sistema giudiziario saudita.
Più di 20 sciiti vennero uccisi nella provincia orientale di Qatif tra il 2011 e il 2013, durante una serie di proteste contro la discriminazione religiosa dei sciiti nel regno a maggioranza sunnita, per il ruolo della monarchia saudita nella repressione delle proteste in Bahrain e la liberazione dei prigionieri sciiti.
Tre persone vennero uccisi durante gli scontri che seguirono all’arresto di Nimr. La polizia saudita spiegò che i dimostranti stavano sparando; secondo l’opposizione, si trattava di pacifici dimostranti. Nimr, che non ha mai lesinato critiche alla famiglia regnante e ha chiesto vere elezioni, è accusato di essere dietro gli attacchi alla polizia. Lui ha sempre negato l’accusa.
La sua condanna a morte ha di nuovo esacerbato i già difficili rapporti di Riyadh con l’Iran. “L’esecuzione dello sceicco Nimr farebbe pagare un costo molto alto all’Arabia Saudita”, ha detto il vice-ministro deli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian.
Così Riccardo Noury, portavoce di “Amnesty International Italia“, commenta la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita.
Riccardo Noury su situazione diritti umani in Arabia Saudita