I numeri non sono alti, sessantadue in tutto, ma proprio per questo appare incomprensibile come la presenza dei bambini in prigione insieme alle proprie mamme non sia una condizione ancora completamente risolta.
Negli ultimi vent’anni ogni governo che si è insediato ha cercato di affrontare il problema, perché è inaccettabile pensare che i bambini possano pagare le colpe delle loro madri e stare in carcere, ma mai era avvenuto un evento tragico come quello di Rebibbia: una detenuta tedesca ha ucciso la bambina più piccola, di soli 4 mesi, e ha ferito gravemente l’altro, di 4 anni. Da un mese si trovava in carcere e da pochi giorni le avevano confermato la pena, non era finora seguita per problemi psichiatrici.
Una sconfitta per l’ordinamento penitenziario e per chi deve tutelare i diritti dei più deboli.
Per ogni governo una legge in più, senza però risolvere la situazione: il risultato è che sono ancora otto le sezioni nido nelle carceri italiane, e solo 5, ma quattro sono quelle attualmente attive, le strutture a custodia attenuata decise con una legge del 2011.
Queste ultime sono un passo in avanti nella condizione di maggiore cura e attenzione per i bambini e dignità per le madri, ma sono poche e solo in 4 città, tra cui milano che è stata la prima a vederne la luce, le altre a Torino, Venezia e Avellino. Perché non ne vengono create altre? Mancano le risorse economiche destinate alle carceri e visto lo squilibrio tra sezioni femminili e maschili, (sono solo 2500 le donne detenute, tra il 4 e l’8 per cento del totale), la maggior parte degli investimenti vengono diretti alle sezioni maschili.
Il nido nella sezione femminile di Rebibbia, dove i due bambini sono stati colpiti dalla madre, è quello dove è maggior la presenza dei bambini, ce ne sono sedici e tredici mamme, ma è anche il nido dove è maggiore l’impegno dei volontari, con ludoteche e sale per gli incontri, le pareti sono colorate e i bambini vengono portati all’esterno dalle associazioni che si occupano proprio di questa materia, ma le sbarre alle finestre sono ben visibili e le porte blindate la sera si chiudono rumorosamente una dopo l’altra dietro ai bambini.
Per questa ragione si era pensato nel 2011 alle strutture di detenzione attenuata, che amplia anche l’età di presenza dei bambini con le mamme, fino ai 6 anni, sempre costruite e gestite dall’istituto penitenziario, ma con un modello simile ad una casa, ma sono poche. Poi è arrivata un’altra legge che prevede le case famiglie protette, servono ad accogliere le donne anche in regime di semi libertà, ma che non hanno un domicilio, con i loro bambini fino all’età di dieci anni, ma la creazione di queste strutture dipende dagli enti locali e i soldi mancano per aprirle.
Nei nidi in carcere i bambini possono restare fino ai 3 anni di vita, quando è maggiore e necessario il bisogno per il bambino di stare accanto alla madre, ma dopo devono lasciare il carcere, nelle altre strutture il limite è maggiore, dai 6 ai dieci anni.