Oggi, nella Sala dell’Orologio di Palazzo Marino, il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha conferito l’Ambrogino d’Oro alla memoria di Licia Rognini Pinelli, vedova del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, morto presso la Questura di Milano il 15 dicembre del 1969.
Il riconoscimento è stato consegnato dal Sindaco nelle mani delle figlie Claudia e Silvia Pinelli, dopo gli interventi di Primo Minelli, presidente provinciale di Anpi Milano, e Lorenza Ghidini, direttrice di Radio Popolare, che ha pronunciato una laudatio per Licia Rognini Pinelli:
Racconta Licia Rognini Pinelli nel libro Una storia quasi soltanto mia: “Ho sempre l’impressione di essere un monumento nazionale”. Usa queste parole per dire come si sente accolta, negli anni successivi la morte di suo marito, quando viene invitata a un evento, a una cena, a una cerimonia. “Poi – aggiunge – qualcuno si accorge che sono una persona”.
Molti anni dopo quel libro, Licia sarebbe stata invitata al Quirinale, tra i parenti delle vittime del terrorismo. Monumenti, sì, nel senso di strumenti di memoria viventi.
Oggi Milano le conferisce la sua più alta onorificenza, con questo gesto il Sindaco la propone ai milanesi come un esempio da seguire, e la ringrazia per la sua testimonianza.
Silenziosa, quasi sempre, ma di un silenzio assordante, come può esserlo quello di chi ha sempre creduto nella giustizia e infine ha realizzato che per lei la giustizia non ci sarebbe stata.
Se fosse qui, credo direbbe solo poche parole, si schermirebbe, ma sarebbe molto emozionata. Lei, che da quel 15 dicembre 1969 ha chiuso in un cassetto le sue emozioni, i suoi sentimenti, le paure, il dolore ma anche la possibilità di nuove gioie.
In quel terribile dicembre Licia si è data una missione. Se l’è data, lo ha scelto, anche se di certo ne avrebbe fatto a meno. Molte donne, molte persone sarebbero potute soccombere al dolore, o si sarebbero rassegnate davanti alle spiegazioni ufficiali. Licia mi disse pochi anni fa. “Io non volevo fare la povera vedova”. Me lo disse per spiegarmi perché un avvocato come Carlo Smuraglia faceva al caso suo: sobrio e combattivo, come era lei. Lei ha scelto di intraprendere una battaglia di democrazia che valeva per tutti e tutte noi – credo che questo sia, in ultima analisi, il senso di questo Ambrogino. È stata una battaglia contro gli abusi del Potere: dopo tanti anni, ancora di grande attualità.
Nelle ore successive alla Strage di Piazza Fontana il grande depistaggio per coprire i neofascisti e incolpare gli anarchici si dispiega con tutta la sua potenza di fuoco. Era stato architettato mesi prima, e aveva già mietuto le sue vittime. Licia capisce che la morte di Pino si inscrive in una logica più grande di lui, di loro, e decide che bisogna – parole sue – “rovesciare il tutto”. Così come lo decise Rachele Torri, la zia di Pietro Valpreda, voglio ricordarla oggi perché è stata un’altra donna che con grande coraggio è stata dentro quelle vicende, combattendo per la giustizia senza risparmiarsi mai.
“Non bisogna mai mollare – dice ancora Licia nel suo libro con Piero Scaramucci – quando si allenta la spinta tutto diventa possibile”. E così decide perfino di denunciare i rappresentanti dello Stato che avevano diffamato suo marito, un gesto difficile per chiunque a quei tempi, in particolare per una donna. Che grande esempio sarà Licia per le ragazze di questa città, che magari grazie a questo Ambrogino si interesseranno alla sua storia!
Ma lo Stato, con il suo più alto rappresentante, avrebbe fatto un gesto di grande importanza molti anni dopo, il 9 maggio 2009. Su invito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Licia Rognini Pinelli ha partecipato alla cerimonia di ricordo delle vittime del terrorismo. Per la prima volta è stata accanto ai parenti della Strage di Piazza Fontana. Giuseppe Pinelli veniva messo a pieno titolo dalla parte delle vittime. Bella soddisfazione, si potrebbe pensare, ma per 40 anni Pino non era stato considerato, l’ingiustizia che Licia e le sue figlie avevano subito non era stata riparata.
Quel giorno il Presidente, un anziano comunista con la voce rotta dall’emozione, ha riabilitato l’anarchico Pinelli. E sebbene dal punto di vista dei Tribunali nulla sia cambiato, non era più possibile ormai, uno squarcio di verità sulla fine di Pino si è aperto una volta per tutte e non sarebbe più stato possibile chiuderlo.
“La giustizia c’è quando tutti sanno la verità”, diceva Licia. Qualcuno che è ancora vivo sa cosa è successo in quella stanza, e quella sarebbe la verità da dire, ma il Presidente Napolitano ne ha pronunciata una parte importante: Pinelli non si è suicidato, ed è stato vittima due volte. Morto ingiustamente, e ingiustamente accusato.
Dieci anni dopo il Sindaco di Milano, il Sindaco che qui oggi rende a Licia questi onori, ha chiesto scusa alla famiglia Pinelli, ponendo una lapide accanto a un albero piantato simbolicamente davanti alla loro vecchia casa. E passo dopo passo, anno dopo anno, con il nome di Pino che ha iniziato a essere pronunciato anche in piazza Fontana, con gli altri, il 12 dicembre, siamo arrivati fino a questo giorno importante. È Licia che ha reso possibile tutto questo.
Dobbiamo però sapere che questi riconoscimenti vanno tenuti al riparo da una tentazione: la tentazione di voltare pagina senza averla letta fino in fondo. I delitti della strategia della tensione sono tuttora oggetto di processi in cui è doveroso accertare esecutori e mandanti. Licia Pinelli non può e non deve essere il simbolo di una pacificazione intesa come archiviazione rasserenante dei fatti. Perché su molti dei fatti di quegli anni vogliamo ancora la verità. E su Giuseppe Pinelli lo Studio Legale Smuraglia ha ancora da lavorare, se pensiamo che solo due anni fa un ex Questore di questa città è andato in tv a dire che la causa della morte era il suicidio. Naturalmente, né Licia, né Silvia e Claudia si sono sognate di lasciarla passare, e il professor Smuraglia fu ancora – per l’ultima volta – al loro fianco.
Al funerale di Licia il giudice Guido Salvini, cui si deve l’inchiesta più completa su piazza Fontana, ci ha detto: “È incredibile che per la morte di Pinelli non vi sia mai stato un processo”. Tutto è stato insabbiato fin da subito. Licia ricordava che i giudici che hanno condotto l’inchiesta lo hanno fatto senza disporre alcun accertamento. “Quando ho letto quello che hanno scritto, mi sono sembrati dei robot”.
Dei robot. Come quelli raffigurati da Enrico Baj nel suo grande quadro “I funerali dell’anarchico Pinelli”: le figure che rappresentano il Potere hanno degli ingranaggi negli occhi, mentre gli occhi delle vittime – Pino, Licia – sono fatti di lacrime.
Questo quadro che rappresenta una denuncia potente, dipinto nel 1972 e mai esposto stabilmente al pubblico, ora finalmente ha trovato casa nel Museo del Novecento. Milano investe in Memoria, e risarcisce un poco Licia, che portò via i resti di suo marito da questa città, in una giornata grigia e triste del 1980. Oggi riposano insieme a Carrara, uno accanto all’altra in morte, come sarebbe dovuto essere in vita. Come ha detto Silvia il giorno del funerale di Licia: più che chiudersi, un cerchio si apre.
Certo nessuno ridarà Pino a Claudia e Silvia, nessuno ridarà loro la dimensione naturale di crescere con il loro papà e la loro mamma insieme. Cito ancora da Licia: “Eravamo una famiglia. Poi è mancato il padre, io sono andata fuori a lavorare, è cambiata la struttura. Questa non è più una famiglia”. Parole dure e dolorose, dette 10 anni dopo i fatti.
Oggi credo non ripeterebbe quelle parole: il suo essere roccia, nel tempo, ha fatto germogliare così tanto amore! Lei magari non se lo aspettava, ma la sua lunga vita è stata una vita circondata dall’amore di una bellissima famiglia. Penso alle figlie Claudia e Silvia, ovviamente, ai generi, agli adorati nipoti. Che privilegio è stato per loro avere questa nonna, che fino all’ultimo giorno della sua vita era presente, attenta, affettuosa.
Questa famiglia che è nata, potremmo dire, grazie a un corso serale, dove Pino e Licia si sono conosciuti. Era un corso di esperanto, la lingua universale che ha rappresentato una bellissima utopia. La lingua del dialogo e della pace. Oggi, mentre comincia un nuovo anno segnato ancora da troppe guerre, ci resta anche questo insegnamento da Licia Rognini Pinelli: credere nella pace, non arrendersi nonostante tutto, essere operatori di pace.