Le crisi in Medio Oriente di questi ultimi anni, prima l’Iraq poi la Siria, hanno messo in luce più volte le responsabilità dell’Occidente. Nel 2003 l’invasione dell’Iraq voluta da George W. Bush provocò una guerra civile e alimentò il radicalismo islamico che poi avrebbe dato vita all’Isis. Più recentemente la mancanza di una chiara strategia occidentale in Siria ha aggravato ulteriormente un conflitto che ha fatto più di 400mila morti.
Quello che sta succedendo ha però radici molto profonde. Questa settimana è il centesimo anniversario degli accordi di Sykes-Picot, gli accordi con i quali nel 1916 Gran Bretagna e Francia decisero in sostanza come spartirsi i territori dell’Impero Ottomano in Medio Oriente. Impero Ottomano che sarebbe uscito sconfitto dalla Prima Guerra Mondiale. Alla fine del conflitto quegli accordi vennero modificati, ma la questione di fondo rimase: l’Europa decise a tavolino nuovi confini e nuovi Stati.
Stiamo parlando soprattutto di quella regione dove oggi si trovano Iraq e Siria, ormai sprofondati nel caos più assoluto. Proprio per questo è importante chiedersi, un secolo dopo, quanto furono importanti quegli accordi per il futuro della regione. In due epoche completamente diverse, a un secolo di distanza, le mancanze dell’Occidente sono sempre molto evidenti.
Ne abbiamo parlato con Massimo Campanini, esperto di Islam e di Medio Oriente, docente all’Università di Trento
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Quei confini decisi a tavolino prima e dopo la Prima Guerra Mondiale sono stati cancellati, anche se senza alcun riconoscimento, solamente dall’Isis in questi ultimi anni. Il Califfato sorge su una zona di territorio che comprende una parte di Siria e una parte di Iraq. Per lo Stato islamico, seppur in crisi in questo momento, il confine tra i due Paesi non esiste.
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