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Licenziati, ma siamo ancora qua

Arriviamo alle 14 in viale Edison 50, a Sesto San Giovanni. Qui si trova l’Alstom, inglobata dalla potente General Eletric a fine 2015. E’ l’ora del cambio turno. Ma i tre turni (mattino, pomeriggio,notte) non sono più  quelli del lavoro e della produzione, ma dell’occupazione della fabbrica iniziata tre mesi fa, il 27 settembre, contro i licenziamenti. Gli operai, una sessantina, si danno il cambio per presidiare impianti e macchinari.

I cancelli dell’ azienda sono sbarrati. Ci sono alcune bandiere dei sindacati, Fiom Cgil e Fim Cisl, degli striscioni e una maglietta aziendale appesa da un operaio che ci porta subito al dramma che stanno vivendo questi metalmeccanici.

Maglietta esubero

249 tagli di posti di lavoro tra il 2016 e il 2017, qui a Sesto San Giovanni, questa la decisione della General Eletric. La multinazionale americana, dopo aver acquisito nel 2015 il colosso francese Alstom per 13,5 miliardi di dollari (la più grossa operazione mai fatta) aveva annunciato un piano di ristrutturazione nelle divisioni europee con la riduzione di 6500 posti di lavoro, sui 35 mila complessivi. Colpiti gli stabilimenti tedeschi, francesi, svizzeri e in Italia quello di Sesto San Giovanni. General Eletric ha motivato il piano draconiano con il calo della domanda di turbine a gas.

All’ingresso della fabbrica ci viene a prendere un operaio, delegato sindacale. Si chiama Stefano Fregola, gruista, da 15 anni all’Alstom. Ci tiene subito a dire: “Guardi non siamo affatto rassegnati dopo 90 giorni di occupazione, certo siamo stanchi, ma ancora più determinati ad andare fino in fondo, fieri della nostra lotta, di difendere il lavoro e la nostra dignità”.

Con Stefano, mentre ci avviamo ai capannoni, osserviamo il profondo cambiamento di Sesto San Giovanni: quasi tutte le fabbriche della zona sono scomparse. Nella sola Alstom nel 2001 c’erano 800 dipendenti, oggi la vogliono chiudere.

Ma quelli che sono rimasti resistono. Sono convinti che, viste la professionalità che hanno e l’alta tecnologia dei macchinari, qualche acquirente ‘di peso’ del settore energia si farà avanti per rilevare l’Alstom. La fabbrica copre un ampia zona, con tre capannoni e la palazzina impiegati, attraversata dalle rotaie su cui viaggiavano, negli anni ’80, i vagoni con le merci.

Siamo arrivati davanti al capannone 4B dove c’è uno spaventapasseri, “ma per noi è lo spaventa guardie” ci dice Francesco, che lo ha realizzato.“L’ho fatto quando l’azienda aveva mandato delle guardie interne, dei ‘buttafuori’ per controllarci, allora io ho fatto questo spaventa guardie. Una sorta di macumba”. Poi le guardie sono state ritirate.

spaventaguardie

Francesco è l’artista del gruppo. Per passare il tempo, durante l’occupazione, fa composizioni di cartapesta e ha creato anche una piccola esposizione. “Teniamo duro, resistiamo, io sono single ma per chi ha famiglia è molto più pesante la situazione, la quotidianità, l’incertezza del futuro”. Entriamo dentro il capannone 4B.

interno capannone

Quello che colpisce, oltre alla determinazione nella lotta, è come questi lavoratori siano legati al loro lavoro, alle loro professionalità, a quello che hanno imparato, ai macchinari.“ Vede quel tornio? E’ lungo 25 metri, e quelle alesatrici sono formidabili- racconta Stefano. E guardi quella gru: è la mia, quella che manovravo io, e può sollevare sino a 400 tonnellate, noi qui producevamo generatori”. Stefano è sposato e ha due figli, uno di 17 anni, l’altro di 12.

La fierezza degli operai si scontra con la dura realtà, con la potente multinazionale americana General Elettric, che – secondo  la Fiom – ha puntato sin dall’inizio a prendersi ‘il know-how’, le competenze e le conoscenza aziendali, andando a produrre altrove, in Romania.

Sarà dunque molto difficile contrastare la decisione di una potenza come la General Eletric, chiediamo a un gruppo di operai in occupazione. Risponde con un tono deciso Alessandro, da nove anni all’Alstom, prima avvolgitore, poi al controllo qualità: ”Non è impossibile battere la General Eletric, perchè loro pensano di avere a che fare con gente senza dignità, ma io non permetterò di mettermi i piedi in testa. Capisco quelli che hanno accettato la buona uscita dell’azienda per andarsene, avranno le loro ragioni, ma io e gli altri abbiamo deciso di restare e di lottare”.

Intanto un altro operaio mi fa notare l’albero di Natale che hanno fatto in una piccola stanza dove mangiano e dormono di notte. In cima all’albero, al posto della stella natalizia, c’è una chiave inglese. Un albero metalmeccanico.

albero chiave inglese

 

Incontriamo Libero. E’ l’operaio più giovane, ha 28 anni. E’ entrato nella fabbrica otto anni fa. Lavorava alle barre statoriche. Ha due figli, uno di 4 anni e una bambina nata il mese scorso. “La lettera di licenziamento per me ha significato il buio nel mio futuro e in quello della mia famiglia. Per questo non molliamo. Siamo Davide contro Golia, siamo fiduciosi che si troverà una soluzione”.

Quali sono ora le prospettive? Giriamo la domanda, al telefono, a Rosario Rappa, segretario nazionale della Fiom-Cgil, che segue la vertenza General Eletric. “Stiamo premendo sul Ministero dello Sviluppo Economico per far tornare a un nuovo tavolo di trattativa la GE, per trovare una soluzione che porti a un nuovo acquirente della fabbrica di Sesto, e non alla sua chiusura. Su questo – prosegue Rappa – abbiamo l’appoggio della sindaca di Sesto  San Giovanni Monica Chittò e di quello di Milano Beppe Sala. Inoltre abbiamo fatto un ricorso legale contro i licenziamenti”.

Saluto gli operai. Per Natale ognuno ha portato qualcosa da mangiare. Sarà un piccolo momento di tranquillità, pronti a continuare la loro lotta, a resistere, a chiedere lavoro e rispetto. “Licenziati, ma siamo ancora qua”.

striscione

Foto di Piero Bosio

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    Piero Bosio
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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

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