La società dello spettacolo. Nella società dello spettacolo e nel caravan serraglio dei media accade che una decina di giorni fa – al tempo del primo turno per le elezioni regionali – la Francia fosse quasi fascista, o sull’orlo nonché a rischio di “guerra civile”, con Marine Le Pen asso pigliatutto su ogni tavolo, il Partito Socialista floscio, la destra ex-gaullista dei Repubblicani di Sarkozy balbettante e la sinistra – verdi, comunisti, anticapitalisti ecc..- dispersa se non spappolata.
Quindi nel giro di una settimana c’è stato il “sussulto democratico spettacolare” (la Repubblica) che ha sconfitto Le Pen, ricacciato il fascismo incipiente restituendo la patria dei lumi alla sua meritata fama di terra dei diritti e delle libertà, nonché pilastro della UE nel famoso asse franco-tedesco, che rischiava di andare gambe all’aria. In questa vulgata il muro repubblicano si è alzato a fermare l’onda nera lepenista. Intanto sui giornali compariva Hollande trionfante al COP21 e anche fotografato mentre sbarca capelli al vento da un elicottero sulla portaerei Charles de Gaulle, nave ammiraglia della flotta francese che opera di fronte alle coste mesopotamiche nella guerra contro Daesh, solennemente proclamata dal Presidente di fronte alle camere riunite.
Le Nord Pas de Calais Picardie e Provence–Alpes–Côte d’Azur. Sono le due regioni dove Marine Le Pen e sua nipote Marion hanno sbancato al primo turno con oltre il 40 per cento dei suffragi, i socialisti arrivando terzi rispettivamente col 18 e il 16% mentre la destra classica stava a un pelo dal 24 al Nord e al 26,5 in Provenza. Il PS decideva subito di ritirare i suoi candidati, aprendo la strada alla vittoria dei Repubblicani di Sarkò che per parte sua invece annunciava la assoluta indisponibilità a accordi di desistenza coi socialisti ovunque fosse, rendendo così il muro repubblicano che doveva ergersi col contributo di tutti i democratici alquanto sbilenco. Quindi al secondo turno i candidati sarkozisti battevano il FN, con il 57.6 per cento al Nord, e Marine Le Pen ferma al 42.4 per cento, e al Sud con il 54 per cento circa contro il 45 per cento di Marion, astro nascente, sconfiggendo la grande paura della marea nera.
Un fatto senza dubbio positivo, che ha però il suo contraltare nella cancellazione di ogni rappresentante del PS e della sinistra nei rispettivi consigli regionali. Come ha detto Marine Le Pen, “abbiamo sradicato i socialisti da due grandi regioni francesi”. Ed europee aggiungo io.
In particolare il Nord fu una delle culle del Movimento Operaio francese, dove PCF e PS hanno lottato e governato per decenni, fino a ieri appunto. Perché da domani l’assemblea regionale vedrà soltanto eletti di destra, sarkozista e lepenista. Per avere la misura dello sconquasso provocato dalla crescita del FN, pensate da noi le assemblee regionali dell’Emilia Romagna e della Puglia senza alcun eletto del PD – diverso dal PS ma insomma – e della sinistra, soltanto con Salvini, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Tra l’altro, fin dalle prime dichiarazioni le destre, che sono due – FN e Repubblicani – impegnate a rincorrersi per vincere la palma di quello che più a destra non si può, hanno già preso di mira i programmi culturali che erano il vanto dei governi socialisti, dichiarandoli inutili lussi per pochi.
Ma allora chi ha vinto e chi ha perso. Fulminante Martine Aubry, battuta alle primarie socialiste da Hollande ahimè, e da quel poi messa in quarantena quasi fosse un pericoloso virus, che ha dichiarato: “Sarkozy ha ucciso la Republique, e noi (socialisti) abbiamo ucciso la politica”. Traducendo: la V Repubblica inventata e costruita da De Gaulle è ormai in crisi, sia sul fronte delle istituzioni che su quello delle dinamiche politiche, anche perché la convenzione ad excludendum tra destra classica e sinistra per tenere fuori il FN dal Palazzo barcolla almeno da due punti di vista. Il primo è che la destra classica, i Repubblicani di Sarkò non ne vogliono più sapere; il secondo ben più importante attiene la democrazia, perché fin quando il FN stava intorno al 10 per cento era giustificabile, seppure non elegante, tenerlo fuori da Parlamento e tutto il resto ma adesso che veleggia attorno al 30 per cento, come si fa? Sono, dati del secondo turno, quasi sette milioni di cittadini/e che dovresti rinchiudere in una sorta di apartheid, e più tu li rinchiudi più loro aumentano di numero elezione dopo elezione. Perché anche tra il primo e secondo turno il FN è, in voti, cresciuto, passando dai sei milioni e qualcosa del primo turno (28.42 per cento) ai quasi sette milioni del secondo, stessa percentuale ma più voti essendo l’affluenza aumentata dell’8 per cento circa.
Ma soprattutto Marine Le Pen ha vinto e vince perché detta l’agenda, i tempi e le mosse a tutto lo schieramento politico ormai da anni, prendendosi gioco del balletto tra destra classica e PS, spesso somigliante più a un minuetto tra cicisbei che a una vera lotta politica tra idee e programmi diversi. Le Pen detta l’agenda, e questo su tutti i fronti. Prendete per esempio l’annoso problema, quasi metafisico se non psicoanalitico, dell’unità a sinistra. Il PS era assai arrogante al primo turno, puntando su una autosufficienza della cosidetta “majorité presidentielle”, la maggioranza presidenziale, per tornare poi a più miti consigli – fino a liste comuni – quasi ovunque nel secondo turno, ottenendo sul piano nazionale un 31 per cento (senza due regioni), mentre al primo turno il PS e associati stava al 23 per cento. Una unità forzosa imposta dall’avanzata del FN, e adesso Malanchon, il leader del FG, Front de Gauche, il Fronte di Sinistra, invoca con involontario effetto comico il Fronte Popolare.
D’altra parte madame Le Pen lo ha detto più volte, “anche Hollande mi dà retta, ormai” (cito a memoria), e non a caso è stata invitata alla commemorazione solenne aux Invalides dei morti uccisi dai terroristi, dove nel parterre sedevano tutti i personaggi politici di rango della Republique su invito del Presidente, Marine compresa. Col che poi Valls grida alla “guerra civile” se mai la vague bleu Marine avesse sommerso una regione!
La sconfitta socialista. Dicono alcuni che il PS “ha salvato i mobili” (quando la casa va a fuoco) essendo rimasto al governo di cinque regioni su tredici. Forse. Comunque il PS prima governava (2010) 21 regioni su 22, la grande maggioranza delle province, quasi tutte le grandi città, fin quando Hollande non diventò Presidente (2012), facendo temere a alcune anime particolarmente democratiche che potesse configurarsi una deriva quasi totalitaria di occupazione socialista del potere. Invece, in un pugno d’anni, il PS ha perso quasi tutto. Con casi eclatanti.
A Liévin, cittadina del Nord, appena un anno e mezzo fa il PS vinceva le elezioni comunali col 55 per cento e passa dei voti (il comune è socialista da trentadue anni), mentre alle regionali il FN ha ottenuto il 48 per cento, il PS fermandosi al 26 per cento, cioè perdendo più della metà dei voti in poco più di dodici mesi. Una frana, piccola questa in termini numerici, che s’allarga però fino a l’Ile de France, la regione di Parigi, dove la sinistra – PS, PCF e verdi – al governo da 17 anni, pensava di vincere e invece è stata conquistata dalla destra. Ovvero i socialisti, perdono sia tra il proletariato che abita le cittadine già operaie del Nord che – qui come sinistra unita – nell’area urbana europea e cosmopolita, multietnica nonché multiculturale per eccellenza, dove il FN ha molti meno voti che altrove (14 per cento).
Di questa crisi strutturale del PS si è ben reso conto Valls. Il primo ministro, intervenuto subito dopo i primi risultati del secondo turno, ha esortato a non parlare di vittoria, costruendo poi un breve discorso molto presidenziale dove campeggiavano le parole patriottismo, fierezza di essere francesi – con particolare riferimento ai risultati di COP21 – fraternità, quasi il vocabolario di Le Pen, e ovviamente dimenticandosi dell’egalitè che proprio pare non avere corso nella Republique a guida socialista. D’altra parte Valls ha inviato più di un segnale in vista di una radicale riforma del PS, o più precisamente, in vista di un nuovo partito che si distacchi dai tradizionali riferimenti politico culturali propri al socialismo francese.
Recentemente il primo ministro lo ha detto in chiaro:“Noi siamo giunti alla fine di qualcosa, alla fine forse di un ciclo storico del nostro partito”, che va ricordato, rinacque sulle ceneri dell’antica SFIO autodissolta negli anni ’60, per iniziativa essenzialmente di Mitterand, e ancora “bisogna costruire una casa comune aperta a tutte le forze progressiste… bisogna che il partito socialista possa eventualmente autosuperarsi, andare oltre se stesso, e questo vuol dire che bisogna riunire – rassembler – più largamente, che bisogna integrare”.
Infine alcune domande e problemi che tenteremo di dipanare nel seguito.
Da dove viene questa ir(resistibile) ascesa del FN, e della destra? Insieme FN e Repubblicani totalizzano il 60 per cento dei voti, almeno stando a queste ultime elezioni. E viceversa, perché la sinistra, il PS ma anche il FG e i verdi, sembra perdere voti come un colabrodo? Quali forze profonde si muovono nella società scavando una via reazionaria quando non fascista sempre più larga lungo cui si incamminano sempre più persone? Cosa resta in Francia di Libertè, Fraternitè, Egalitè mentre sub specie di guerra avanza lo stato di polizia?
Già, la guerra.
E l’Europa quanto e come c’entra: quanti voti ha perso la sinistra dopo che il governo Tsipras, pur sostenuto da una vittoria elettorale e da un referendum contro l’austerità, è stato calpestato dalle scarpe chiodate della triplice alleanza reazionaria, la famigerata troika (FMI, BCE, CEUE) che sulla volontà popolare ha bellamente pisciato fino a annegarla.