Alessandro Gallelli viene trovato morto nella cella numero 5 del reparto psichiatrico del carcere di San Vittore di Milano il 18 febbraio 2012. Sono le 17.30, il corpo senza vita di Alessandro è ricurvo verso terra con una felpa stretta intorno al collo, le maniche inserite nei piccoli buchi della grata che copre la finestra della cella. Il caso viene presto archiviato come suicidio per impiccagione.
Oggi i genitori di Alessandro, Mirella e Andrea, chiedono la riapertura del caso e che si vada a un processo penale per indagare le cause che hanno portato alla morte del figlio. A quattro anni dalla morte è arrivata anche la sentenza di primo grado nella causa civile che ha condannato il ministero della Giustizia perché Alessandro non fu sorvegliato a vista come prescritto. Non solo, dentro quella sentenza c’è una perizia che solleva dubbi sulla ricostruzione di quanto successo nel pomeriggio in cui Alessandro è morto e mette in dubbio la versione del suicidio.
Aveva un profilo psicologico problematico Alessandro Gallelli, problemi di salute mentale che durante il 2011 vengono trattati più come problemi giudiziari. Entra in carcere a ottobre 2011 con l’accusa di molestie sessuali e stalking e viene inizialmente rinchiuso a San Vittore in attesa del processo nel reparto dei cosiddetti sex offender, i detenuti accusati di reati sessuali. Poi passa al CONP, il Centro di Osservazione Neuropsichiatrica, un reparto difficile, dove vengono trasferite le persone con gravi problemi di salute mentale. Su Alessandro pendevano quel tipo di accuse, molestie sessuali e stalking, considerate “infamanti” e spesso al centro di “punizioni” da parte degli altri detenuti. Viene disposta la sorveglianza a vista, ma dai verbali risulta venisse controllato da una guardia carceraria ogni mezz’ora. Il tribunale Civile ha condannato il ministero della giustizia in primo grado perché Alessandro non fu sorvegliato a vista come prescritto.
Nei quattro mesi in cui è stato detenuto a San Vittore Alessandro ha ricevuto circa 40 visite mediche. Nelle ultime settimane rifiutava la terapia, non voleva prendere i medicinali prescritti dai medici. Secondo il perito del tribunale Civile, il dott. Luigi Morgese, c’è stata “una sottovalutazione della gravità del caso”. Nella perizia scrive che Alessandro non doveva essere lasciato solo. Per i genitori “Alessandro doveva essere ricoverato in un ospedale, non doveva stare in quella cella isolato”.
Ascolta l’intervista ai genitori di Alessandro Gallelli.
“Perché era isolato in quella cella? Perché non è stato sorvegliato a vista?”, si chiede la mamma Mirella. “Come è stato possibile far passare la felpa nei piccoli fori della grata della finestra a cui è stato trovato impiccato Alessandro?”. Domande rilanciate nella richiesta di verità anche dalla garante dei detenuti del comune di Milano Alessandra Naldi e dalla presidente di Antigone Lombardia Valeria Verdolini.
“I buchi neri nella storia di Alessandro iniziano prima della sua detenzione in carcere”, dice Alessandra Naldi. I genitori nel 2011 chiedono il ricovero di Alessandro nel reparto psichiatrico dell’Ospedale di Legnano, era il 28 febbraio del 2011. “Dopo una lite in casa gettò il televisore dalla finestra”, ci racconta la mamma. “Da mesi aveva comportamenti strani, era sempre più difficile capire il suo atteggiamento. Aveva subito il ritiro della patente e faceva uso di cannabis”. Viene ricoverato all’Ospedale di Legnano per un TSO, la procedura standard è di circa sette giorni, ma dopo due viene dimesso. I medici scrivono che non c’è “alcuna patologia psichiatrica”. Viene loro consigliato di segnalare all’autorità giudiziaria le violenze commesse nei loro confronti, anche per tutelare la sorella minore che vive in casa con loro.
Da quel momento i problemi sanitari di Alessandro vengono trattati come problemi giudiziari. Nel corso del 2011 viene segnalato più volte ai carabinieri di Cerro Maggiore, fino all’arresto il 21 ottobre 2011.
“Di fronte a qualsiasi caso di morte in carcere è necessario andare fino in fondo“, dice Alessandra Naldi. “Nel momento in cui una persona è nella mani dell’autorità, l’autorità deve garantire la sua incolumità. Se questo non avviene bisogna fugare ogni dubbio su eventuali responsabilità”.
Alessandra Naldi, garante dei detenuti del Comune di Milano, e Valeria Verdolini, presidente di Antigone Lombardia, sono state ospiti della trasmissione Localmente Mosso.
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