Ahmed al-Sharaa, il nuovo leader siriano, è alle prese con un difficile esercizio di equilibrismo. Non dare troppi pensieri agli occidentali e agli altri leader arabi – che lo aiuteranno a ricostruire il paese e a riportare la Siria all’interno della comunità internazionale – ma allo stesso tempo mantenere il legame con quella base di combattenti, siriani e stranieri, che hanno portato alla caduta del vecchio regime e che hanno sempre dato molta importanza all’aspetto religioso, all’Islam.
A fine dicembre il ministero della difesa di Damasco aveva creato la struttura di base per le nuove forze armate, nominando chi starà indicativamente ai posti di comando. Circa 50 persone. Tra loro almeno 6 sarebbero ex-miliziani stranieri arrivati in Siria durante la guerra civile ed entrati in gruppi islamisti.
Ancora prima di arrivare a Damasco, lo scorso dicembre, Ahmed al-Sharaa aveva espulso diversi combattenti dalla sua organizzazione, Hayat Tahrir al-Sham, perché considerati pericolosi.
Tra i sei ex-foreign fighter ci sarebbero degli uighuri cinesi, un giordano, un turco, un egiziano, un albanese.
Probabile che a breve sia concessa loro la cittadinanza siriana.
I diplomatici di Stati Uniti, Francia e Germania che sono stati recentemente in Siria avrebbero espresso la loro preoccupazione direttamente allo stesso al-Sharaa, Joulani. Lo dicono fonti diplomatiche citate dall’agenzia Reuters.
Preoccupati anche Egitto e Giordania.
La nuova leadership siriana avrebbe comunicato ai governi occidentali che si tratta di profili che hanno avuto un ruolo fondamentale nella caduta di Bashar al-Assad.
Dal nostro punto di vista – nonostante Hayat Tahrir al-Sham abbia rotto da tempo i legami con la rete di Al-Qaida e durante la guerra civile abbia combattuto anche contro l’ISIS – è molto difficile da accettare.