La prima immagine che mi viene in mente quando ripenso a Nora Cortiñas è quella di una moto. Era il febbraio del 2018 a Mar del Plata. L’ex capo della famigerata Polizia della Provincia di Buenos Aires, condannato per delitti contro l’umanità compiuti durante l’ultima dittatura militare, aveva ricevuto un polemico permesso per passare qualche giorno nella sua casa di villeggiatura. Norita, appena vide la notizia in TV chiese ad un amico di portarla immediatamente alle manifestazioni spontanee che si stavano realizzando di fronte alla porta del genocida. Aveva 88 anni, e vi arrivò in sella ad una moto, avvolta dall’affetto e il calore degli applausi di mezza città.
Norita è stata fra le prime ad indossare il fazzoletto bianco delle Madres de Plaza de Mayo, e a sfidare il sanguinario regime dei generali che mise a ferro e fuoco l’Argentina. Era il 1977, suo figlio Gustavo, impiegato presso il Ministero dell’Economia e militante nelle Villas miseria, i quartieri più poveri del Sud di Buenos Aires, era stato sequestrato dalle Forze Armate il 15 aprile. Quasi un mese più tardi Norita si trovava assieme ad un pugno di altre mamme disperate nella piazza dirimpetto alla Casa Rosada, il palazzo di governo, per chiedere spiegazioni ai dittatori sulle sparizioni dei loro figli. “A quell’epoca ero una casalinga di una famiglia patriarcale”, disse sorridendo in una delle tante interviste rilasciate nella sua vita. “Ero convinta di avere solo obblighi nella vita. La piazza mi ha insegnato che ho anche diritti”.
Eccome se li ha fatti valere i suoi diritti Norita. I suoi e quelli di tutti i diseredati dell’Argentina. Con le mense popolari delle periferie, con le madri delle vittime della violenza della polizia, con i lavoratori licenziati ai cancelli delle fabbriche, coi maestri e dottori durante gli scioperi, con le assemblee ambientaliste in difesa della Patagonia. Da quelle piazze, a cui lei avrebbe potuto insegnare tanto dopo più di quarant’anni di lotte, ha continuato ad imparare, con un’umiltà che anche i suoi più acerrimi detrattori le hanno sempre riconosciuto. Ormai ottantenne, aggiunse al fazzoletto bianco, che non abbandonò mai, quello verde della Campagna per la legalizzazione dell’Aborto. Era in piazza, quando nove anni fa nacque il movimento Ni Una Menos a Buenos Aires. Era lì anche durante le lunghe notti al freddo di fronte al congresso per esigere la legalizzazione dell’aborto, assieme a centinaia di migliaia di giovanissime argentine, disposta a condividere un mate, un abbraccio, una parola di incoraggiamento.
Negli anni ’70 i superiori di suo marito al Ministero dell’Economia gli chiedevano che legasse al letto quella ficcanaso di sua moglie, che appariva in tutti i tribunali, questure e prefetture volendo identificare cadaveri, stabilire l’identità dei giovani trucidati dalle forze armate, mettendo in pericolo la sua stessa vita affinché venisse fatta giustizia. La veglia funebre di Norita si svolgerà questo fine settimana nell’edificio dove funzionava un centro di tortura durante la dittatura, Mansión Seré. Nel 1978 Norita vi irruppe di fronte agli sguardi attoniti dei militari presenti per verificare se lì si trovava suo figlio. Un atteggiamento che poi si è trasformato in militanza. Norita appariva ovunque fosse stata commessa un’ingiustizia, col suo fazzoletto bianco in testa, in prima fila, sfidando gli scudi, i manganelli, le toghe e doppiopetti di ogni sorta. La sua sola presenza sembrava incutere timore ai potenti, e infondeva una forza indescrivibile a lotta ogni giorno per i propri diritti.
Qualche mese fa ho avuto modo di parlare con lei per l’ennesima intervista. Credetti che chissà, vista l’età e gli acciacchi sempre più problematici, stesse valutando di ritirarsi a vita privata. Quando la vidi sul palco della manifestazione del 24 marzo, anniversario del golpe militare del 1976, mi ha invaso un sentimento misto di sorpresa, felicità e profonda ammirazione. Per nulla al mondo si sarebbe persa la possibilità di gridare in faccia al presidente Milei, il suo Nunca Más. A 94 anni ci ha lasciati una lottatrice storica, una donna imprescindibile, che ha imparato dal popolo più umile cosa significa lottare, e ha insegnato col proprio esempio cosa significa vivere.
di Federica Larsen