Una prima ballerina assoluta. Così la definì il New York Times negli anni ‘60, quando il mondo si rese conto che era nata una grande stella della danza, uguale a nessun altra. Carla Fracci era diventata una “spinazzitt”, una allieva della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, dopo un’infanzia tutta milanese, di guerra e di ristrettezze, come lei stessa ha tante volte raccontato, ma anche di vita di comunità e di affetti autentici.
Il padre, dopo essere sopravvissuto alla disastrosa campagna di Russia voluta dal Duce, era diventato bigliettaio all’ATM. La mamma, operaia all’Innocenti, contribuiva al bilancio familiare. Un contesto autenticamente popolare che, in un primo momento, aveva visto con qualche perplessità la vocazione artistica di Carla. Eppure, fu proprio al circolo ricreativo dell’azienda dei trasporti che qualcuno si accorse del suo talento. La scuola fu dura: ambiente nuovo, spazi chiusi, disciplina rigida. Ma Carla ce la fa, grazie anche alla grande Margot Fonteyn, che le rivela il senso della scena. Brucia le tappe, diventando prima ballerina alla fine del 1958.
Da allora, è una galleria di trionfi: i più grandi teatri internazionali se la contendono, al suo fianco i massimi danzatori della sua generazione. Fra loro Rudolf Nureyev, il magnetico dominatore del palcoscenico. Un sodalizio straordinario e immediato, rimasto nella storia della danza.
Nella lunghissima carriera, da protagonista della scena e poi da direttrice di vari Corpi di Ballo, trova anche il tempo di divertirsi con Elio e le Storie Tese o con Virginia Raffaele che la imita insieme a Roberto Bolle. Nella sua autobiografia “Passo dopo passo” Carla Fracci consegna ai lettori un’immagine inedita: quella di una donna ironica, capace di vivere il presente e di prendere posizione quando necessario, come nel caso dei tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo. Iconica, nella sua passione assoluta per il bianco, ritorna per l’ultimo omaggio in quella che definiva la sua casa: il Teatro alla Scala.