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A Very English Scandal e Bodyguard

Sommersi dall’offerta americana, qualche volta finiamo per dimenticarci che anche la Gran Bretagna è produttrice di serie eccellenti: con un sistema industriale meno irreggimentato di quello a stelle e strisce, e qualche volta anche un po’ più libero di sperimentare, ha regalato fenomeni globali come Sherlock e Doctor Who e – a ben guardare – anche Il trono di spade, nonostante batta la bandiera statunitense di HBO, può considerarsi una creatura british. Le nomination ai premi importanti possono suggerire qualche titolo da recuperare, e infatti ecco che tra quelle recentemente annunciate dei Golden Globe (la cui cerimonia si terrà il 6 gennaio 2019) c’è qualche ricorrenza meritevole. Bodyguard, nominata come miglior serie drammatica e come miglior protagonista maschile, è stata in patria il maggior successo d’ascolti degli ultimi dieci anni (oltre 10 milioni di spettatori, il 40% di share), e anche in Italia – dov’è disponibile su Netflix – ha raccolto un buon passaparola: protagonista è il sergente David Budd, un veterano dell’Afghanistan, affetto da sindrome da stress post traumatico, che dopo aver sventato un attentato viene assegnato come guardia del corpo alla ministra dell’interno, una donna ambiziosissima, ultraconservatrice, i cui ideali sono esattamente all’opposto di quelli in cui Budd crede. D’alta tensione e denso di colpi di scena, lo show in Gran Bretagna è stato anche al centro dell’infervorato dibattito sull’immigrazione. Ma la produzione inglese che più di tutte vi consigliamo di recuperare – recentemente è andata in onda in Italia su FoxCrime – si intitola A Very English Scandal e ai Golden Globe è candidata come miglior miniserie. Nomination di categoria anche per i suoi attori, protagonista e non protagonista, rispettivamente Hugh Grant e Ben Whishaw, entrambi straordinari (soprattutto Grant, che negli ultimi anni sta vivendo una specie di seconda giovinezza artistica). In tre agili puntate da un’ora, dirette dallo Stephen Frears di My Beautiful Laundrette, Le relazioni pericolose e The Queen, racconta – come dice il titolo – uno scandalo molto inglese: avvenuto nella seconda metà degli anni 70, quando il leader del partito liberale Jeremy Thorpe, molto amato e in ascesa, venne processato con l’accusa di aver tentato di uccidere il suo ex amante, Norman Scott. La relazione si era consumata nei primi anni 60, quando l’omosessualità era ancora un reato punito con il carcere (i primi passi per la depenalizzazione avvennero nel 1967), e per anni Thorpe aveva vissuto nel terrore che l’affaire venisse reso pubblico, stroncandogli la carriera e rovinandogli la vita. A scrivere la miniserie è Russell T Davies, uno degli sceneggiatori più celebri e acclamati del Regno Unito, da sempre impegnato con i suoi lavori nella lotta per i diritti LGBT: con precisione, intelligenza e ironia, costruisce i ritratti di due uomini opposti in tutto (per carattere e indole, ma anche per classe e censo), e ugualmente vittime di un’ingiustizia sociale e una discriminazione costante. Il vero scandalo – ci dice lo show – è lo stato di oppressione cui sono sempre state soggette le persone queer, ed è “molto inglese” perché a essere colpevole è l’intera nazione.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono stati i buoni pasto: “Abbiamo chiesto 1,50 euro in più, non la luna, ma l’azienda ci ha detto di volerli spalmare sui prossimi tre anni”. Il caro-vita però non aspetta e insieme ad altre questioni come il premio di risultato insufficiente, i ritmi di lavoro e il clima interno hanno portato a uno stallo nelle trattative per il rinnovo del contratto e a questa giornata di sciopero nazionale. Secondo i delegati in piazza l’adesione è stata dell’80% negli store più grandi e del 70% in quelli più piccoli. Il gruppo Feltrinelli ha ribadito la sua posizione: “Siamo aperti a proseguire la negoziazione con l’obiettivo di giungere a una soluzione condivisa e sostenibile sulle questioni ancora aperte”. Oggi ci sono stati una decina di presidi in altrettante città italiane convocati da Cgil, Cisl e Uil di categoria, noi siamo stati a quello di Milano, dove la manifestazione fuori dalla Fondazione Feltrinelli in via Pasubio è diventata un corteo fino agli uffici Feltrinelli di via Quadrio. Le interviste sono di Roberto Maggioni.

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