Le Nazioni Unite non hanno ancora mandato gli inviti per l’incontro sulla Siria di lunedì prossimo a Ginevra, che dovrebbe essere il primo passo di una delicatissima trattativa per mettere fine a una guerra che va avanti da quasi cinque anni. Il motivo è semplice: non è ancora chiaro chi possa partecipare al negoziato. Nello specifico le potenze mondiali e regionali, che hanno un ruolo attivo in Siria, non si sono ancora messe d’accordo su quali gruppi ribelli possano sedersi al tavolo della trattativa.
Il mese scorso l’opposizione siriana si era riunita in Arabia Saudita e aveva nominato un comitato in grado di rappresentarla. Ora ci sono però due problemi. Il primo: secondo russi e iraniani è impossibile accettare la presenza di gruppi, seppur modearati, che si rifanno in maniera esplicita alla religione islamica. L’avanzata dell’estremismo islamico, non solo in Siria, fa in effetti il gioco di Mosca e Teheran, i principali sponsor del regime di Damasco. Il secondo problema: la Turchia, uno dei principali alleati del fronte anti-regime, vuole escludere a tutti i costi i curdi, che controllano una buona parte del nord della Siria e che sono tra i pochi a combattere sul campo lo Stato Islamico. I curdi siriani sono molto vicini al PKK, che dalla scorsa estate sta nuovamente combattendo contro l’esercito di Ankara nel sud-est della Turchia.
L’inviato ONU per la Siria Staffan de Mistura spera ancora che lunedì prossimo ci sia il primo incontro tra il governo siriano e l’opposizione. Ma in realtà è probabile che la riunione venga rinviata. Il consiglio di sicurezza si è riunito all’inizio di questa settimana ma non ha confermato alcuna data. Anche perché ci sono altri ostacoli: la crescente tensione tra Iran e Arabia Saudita (che in Siria stanno combattendo una grossa guerra per procura), l’avanzata del regime, le condizioni poste dai ribelli per far partire il processo di pace.
Grazie all’intervento diretto russo, cominciato a fine settembre scorso, l’esercito di Bashar al-Assad e i suoi alleati hanno ottenuto importanti vittorie militari. È successo a sud, è successo alla periferia di Damasco (una delle roccaforti dell’opposizione), è successo soprattutto a nord-ovest, tra le province di Idlib e Latakia, dove i ribelli minacciavano la regione alawita lungo la costa mediterranea. Le truppe del regime avanzano anche nella regione di Aleppo. Assad non è in grado di vincere la guerra, ma grazie ai raid russi, che hanno colpito soprattutto i gruppi armati che minacciavano il regime e non tanto l’ISIS, non è più sulla difensiva come l’estate scorsa.
Sull’altro fronte l’intervento russo ha provocato un incremento degli aiuti occidentali ai ribelli. Negli Stati Uniti c’è chi protesta, perché le fazioni che hanno ricevuto le armi americane collaborano con al-Nusra, se si esclude lo Stato Islamico il principale gruppo islamista che combatte in Siria. Al-Nusra non parteciperà ai negoziati di Ginevra. Per sua scelta e perché tutti la considerano un’organizzazione terroristica. Ma si tratta di uno dei gruppi più efficienti nei combattimenti contro il regime, una delle tante contraddizioni della guerra siriana.
Anche l’ISIS ha perso terreno. In questi giorni sta combattendo contro il regime per il controllo della città di Deir el-Zor, un’importante città della Siria orientale che collegherebbe Raqqa, la capitale dello Stato Islamico, ai territori che il Califfato controlla nell’Iraq occidentale. Il governo sta cercando di conquistare più posizioni possibili proprio in vista di un possibile negoziato.
Ma per trattare i ribelli chiedono un cessate il fuoco a livello nazionale, la liberazione dei prigionieri, la rimozione del blocco ai tanti centri assediati dall’esercito, la partenza di Assad durante il periodo di transizione. Su questo Damasco, dalla sua nuova posizione di forza, non cede. Solamente gli sponsor esterni delle diverse fazioni siriane possono sbloccare questa situazione. Vedremo nei prossimi giorni se lo faranno.