
La famiglia Dahdouh è riuscita a recuperare i resti del figlio Omar tra le rovine della propria casa, quasi un anno dopo la sua morte. Suo fratello Moayad ha raccontato il calvario della sua famiglia. Omar è rimasto intrappolato sotto i resti di un edificio di sette piani, polverizzato da un bombardamento israeliano. Hanno cercato subito di recuperare il suo corpo, ma le macerie erano così tante che senza una ruspa o un bulldozer è stato impossibile. A Khan Younis la famiglia Dajani continua a vivere accanto a ciò che resta della propria casa distrutta, dove sono sepolti i corpi di tre dei loro figli. Il padre Ali, spiega che da allora vivono lì, ma le condizioni di vita sono insostenibili: non c’è acqua né cibo. “Tutto ciò che chiediamo è di recuperare i corpi dei nostri figli – spiega Ali – Seppellire i morti è sacro”.
Le famiglie come quella Dajani sono migliaia. Le Nazioni Unite stimano che siano almeno 11mila le persone ancora sotto le macerie, e altrettante le famiglie che restano aggrappate alla speranza di poter almeno seppellire i propri cari. Una speranza che ora rischia di spegnersi definitamente. Questa settimana un attacco israeliano ha distrutto macchinari pesanti fondamentali. Secondo Israele venivano utilizzati da Hamas per operazioni di terrorismo, ma il portavoce delle Nazioni Unite ha detto che quei raid hanno bloccato tutte le operazioni di rimozione dei detriti. Le Nazioni Unite stimano che circa il 92 per cento di tutti gli edifici residenziali di Gaza siano stati danneggiati o distrutti e le macerie ammontano a circa 50milioni di tonnellate. Il ritardo nella rimozione dei detriti e nel recupero dei corpi – avvertono le organizzazioni umanitarie – non solo sta aggravando il trauma psicologico della popolazione della Striscia, ma rischia anche di trasformarsi in una catastrofe sanitaria e ambientale.