7 gennaio 2015. Un mattino d’inverno in pieno centro di Parigi, la ville lumière, due jihadisti nati e cresciuti in Francia massacrano a raffiche di kalashinikov i membri della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Con triste poesia qualcuno la chiamerà “La strage delle matite”. Una strage in nome di Dio. Una punizione divina per aver osato irridere un profeta. E niente sarà più come prima. Cosa pensavamo di sapere dieci anni fa e cosa abbiamo dovuto imparare al prezzo di lacrime e sangue dieci anni dopo? Pensavamo di sapere che dopo secoli di guerre di religione, dalle crociate alla guerra dei trent’anni, non si muore e soprattutto non si uccide più in nome di Dio. Pensavamo di sapere la battaglia secolare della laicità, della conoscenza e della tolleranza contro l’oscurantismo vinta per sempre. Pensavamo a Dio ormai solo come fatto privato nella solennità dei templi e nell’ intimità delle coscienze e non più come potenza politica e sociale nello spazio pubblico. E pensavamo di conoscere la libertà e il diritto alla satira, all’ irriverenza e persino al blasfemo come un’evidenza quotidiana, come una certezza intangibile. Ma la strage degli spiriti ribelli di Charlie Hebdo non è stata purtroppo un’anomalia, ma appunto l’inizio tragico di un doloroso, lancinante apprendistato passato in seguito per il Bataclan, Nizza, Samuel Paty e tanti altri attentati jihadisti. Dieci anni ad imparare a far fronte al ritorno di un Dio arcaico e vendicatore nella vita e nei pensieri di tutti i giorni.
Foto | Ansa (il numero speciale del giornale uscito in occasione dell’anniversario: “increvable” significa indistruttibile)