La polizia francese ha tirato gas lacrimogeni contro i migranti che a Calais cercavano di opporsi allo sgombero dell’accampamento dove vivono a migliaia. Alcune baracche sono andate a fuoco. Un’attivista dell’associazione “No Borders” (Niente Confini) è stata arrestata con l’accusa di aver incitato i migranti a opporsi alla polizia.
Secondo le associazioni di Calais – con lo sgombero della parte sud del campo, detto The Jungle – almeno mille migranti rischiano di ritrovarsi all’addiaccio. Pochi sono saliti sugli autobus che li avrebbero portati verso alcuni centri di accoglienza. Le autorità hanno offerto di alloggiarli in alcuni container in varie località della Francia. Ma i migranti, che sono diretti in Gran Bretagna, non vogliono: dovrebbero farsi prendere le impronte digitali e questa sarebbe la fine del loro viaggio. Farsi registrare vorrebbe dire per loro rimanere in Francia.
Marianne Humpbersot è un avvocato che ha passato tutta la giornata al campo. “La prefettura è venuta assieme a delle associazioni, per chiedere alle persone di abbandonare le loro baracche, e per distruggerle”, racconta. “I migranti hanno cominciato a fare resistenza passiva. Alcuni sono saliti sui tetti delle baracche dicendo che non volevano andarsene, che nessuno ha offerto una soluzione per loro, che non sanno dove spostarsi”
L’avvocato conferma che il problema si è solo spostato qualche metro più in là. “Quasi nessuno se ne è andato. Per il momento le persone sgomberate vengono ospitate da altri migranti all’interno dell’accampamento, ma nei prossimi giorni non so cosa faranno. Tante baracche sono ormai distrutte. E ci sono stati cinque incendi causati dai lacrimogeni della polizia”.
Chiediamo se sono stati i migranti stessi ad appiccare il fuoco, come scrivono alcuni giornali. “Non è vero. Conoscete qualcuno che vuole bruciare la propria casa? E’ stata colpa dei lacrimogeni. Non ci sono stati nemmeno dei veri e propri scontri con la polizia. E’ che i migranti si sono ribellati al fatto che le loro baracche andassero a fuoco. Non so dirvi quanti abbiano perso i loro ripari. Alcuni sono ancora sul tetto della loro baracca per difenderla. Altri hanno preso le loro cose e sono spariti nella Giungla”.
Giungla, The Jungle. Come mai questo nome? “Noi chiamiamo Giungla l’accampamento, perché vuol dire foresta. Ma non significa che dentro ci vivano degli animali, è chiaro? Vorrei precisarlo. Io sono un avvocato volontario e lavoro al centro giuridico dell’accampamento. Il nostro è il solo luogo dove i migranti possono avere qualche informazione su quali sono i loro diritti, su come funziona l’asilo in Europa, su come sporgere denuncia se sono aggrediti dalla polizia”.
Al centro giuridico le ruspe non sono arrivate. “Il nostro centro non era fra i luoghi da distruggere, secondo l’ordinanza dei giudici”, spiega Marianne Humpbersot. “Per non scandalizzare i media, distruggono le baracche dove la gente abita e non i centri comunitari e le strutture gestite dalle associazioni. Ma radere al suolo tutto quello che c’è intorno, è come distruggerli, di fatto”.
Ascolta qui l’intervista con l’avvocato Marianne Humpbersot .
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Leggi e ascolta qui il reportage di Luisa Nannipieri dalla Giungla di Calais realizzato lo scorso dicembre.