Populismo e destra xenofoba forti, ma non vincenti. E’ questo l’esito, e una prima valutazione, per il voto olandese. Geert Wilders – il leader che in campagna elettorale aveva chiamato feccia i marocchini olandesi e chiesto la chiusura delle moschee e il divieto alla vendita del Corano – cresce, passa dagli attuali 15 deputati ai 20 della prossima Camera.
E’ un buon risultato, ma non è quel plebiscito anti-Europa e anti-immigrati che Wilders aveva chiesto. Anche perché nel voto olandese sono usciti rafforzati tutti quei partiti – i cristiano democratici, i democratici di D66, i verdi – che hanno fatto campagna a favore dell’Europa.
E’ importante soprattutto il risultato di GroenLinks, il partito dei verdi guidati dal trentenne Jesse Klaver che è diventato la vera star della politica olandese. Avevano 4 seggi, ne avranno 14. Hanno quindi quasi quadruplicato la loro forza parlamentare, con un messaggio di inclusione degli stranieri e di apertura all’Europa. I verdi sono ora il primo partito di Amsterdam.
Scende, ma nel complesso tiene Mark Rutte, l’attuale premier liberal-conservatore. Al suo VVD – che passa dai 41 deputati dello scorso Parlamento agli attuali 33 – toccherà ora cercare di formare un governo. Impresa non facile in Olanda: il modello politico ed elettorale olandese porta infatti a governi di coalizione, formati dopo lunghi negoziati. La media per formare un nuovo governo nel Paese è di tre mesi. Ci sono voluti anche 200 giorni prima di avere un nuovo governo dopo le elezioni politiche.
Oltre le vicende olandesi, c’è comunque un messaggio chiaro che dal voto olandese viene all’Europa. La maggioranza dei cittadini olandesi continua a credere nel progetto europeo. I nazionalisti e antieuropeisti sono stati respinti. Ogni Paese è storia a sé, ovviamente. Ma il voto olandese è stato forse un modo per capire dove va il vento. Tocca ora a Francia, Germania e, forse, Italia.