Che emigranti provenienti dall’Africa o dal Medio Oriente anneghino nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le sponde dell’Unione europea è ormai purtroppo notizia assai frequente.
Ma non accade solo al largo delle nostre coste. Un flusso, certo molto minore, di africani provenienti dal Congo, dal Senegal e dal Togo giungono in Brasile in aereo e intraprendono il loro lunghissimo esodo via terra verso Nord con meta gli Stati Uniti.
Ma quando giungono nell’istmo centroamericano vengono fermati al confine fra il Costarica e il Nicaragua. Le guardie di frontiera del governo del presidente Daniel Ortega li blocca e li rimanda indietro.
E così centinaia di profughi si accampano per settimane o mesi in territorio limitrofe costarricense in attesa di trovare il modo di oltrepassare illegalmente il Nicaragua verso l’Honduras; per poi proseguire verso Nord, insieme a centinaia di centroamericani che da sempre emigrano negli States in cerca di miglior vita.
E l’unica via per loro sono le barche dei coyotes che, a caro prezzo, li trasportano o al largo del Pacifico nicaraguense, oppure per gli innumerevoli corsi d’acqua che attraversano i due Paesi fino al Gran Lago di Nicaragua. Ma in questo tragitto sono già una ventina gli africani annegati negli ultimi mesi dello scorso anno. Mentre coloro che sono naufragati o catturati sulle coste nicaraguensi sono stati deportati in Costa Rica. Con le autorità nicaraguensi a minacciare di multe o con il carcere coloro che li accogliessero e rifocillassero.
Non è semplice darsi una spiegazione di questo atteggiamento di chiusura verso migranti che sicuramente non si fermeranno mai in Nicaragua. Salvo per i numerosi cubani che tentano anch’essi quest’avventura via Panamà, dove giungono in aereo da Cuba; il cui governo è stretto amico di Daniel Ortega.
Anche se, dall’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, questo flusso di cubani e africani è forse destinato ad assottigliarsi.