L’annuncio ufficiale arriva poco dopo le 14: gli studenti universitari sudafricani sono riusciti ad ottenere l’annullamento del caro tasse universitarie, già in agenda tra i provvedimenti del governo. Quattro giorni di proteste e scontri hanno portato i manifestanti ad un importante successo, che potrebbe essere solo il primo passo di un movimento civile, che vuole completare la “decolonizzazione” del Sudafrica. Chi protesta vuole riscrivere la storia del Paese, cancellare i tratti ancora rimasti dall’epoca coloniale, una scuola più equa e democratica, un maggiore imprgno nella lotta alla povertà. “Il prossimo anno le tasse universitarie aumenteranno dello 0 per cento”, afferma il presidente Jacob Zuma.
Il Paese da tempo è attraversato da forti tensioni. La professoressa Itala Vivan, docente di Cultura postcoloniale all’Università degli studi di Milano osserva con attenzione i sommovimenti della società sudafricana. Il malcontento verso l’African National Congress, il partito in carica dalla fine dall’apartheid ma nessuno ha la forza di contestarlo. C’è un’idea che pare dominare le classi più povere del Paese: la transizione post coloniale ancora non si è conclusa. Si è cominciato con il chiedere la rimozione delle statue dei colonialisti, risultato ottenuto nel caso di quella di Cecil Rhodes. L’atmosfera che si respira a Cape Town lascia pensare ad un possibile Sessantotto africano. Il tema in sospeso, però, è il dopo Zuma. Anche nel caso in cui il movimento non proceda con l’impichment (possibile, visti gli scandali che hanno tormentato l’epoca del presidente), l’erede designato alla dirigenza dell’Anc pare irricevibile per il movimento. Si tratta di Cyril Ramaphosa, vicepresidente dell’Anc, indagato e poi assolto per la strage di 34 minatori di Marikana, ucciso dalle forze speciali del Paese.
L’intervista completa ad Itala Vivan