
I commenti sul negoziato per la riunificazione di Cipro sono quasi tutti positivi. Le due parti, la comunità turca e quella greca, non sarebbero mai state così vicine a un’intesa. I colloqui sono ripresi a Ginevra all’inizio della settimana. Giovedì, secondo il calendario, dovrebbero unirsi alla trattativa anche i tre garanti, Turchia, Grecia, Regno Unito, la vecchia potenza coloniale.
Nella migliore delle ipotesi potrebbero raggiungere un accordo nei prossimi giorni. Ma la cosa più probabile è che firmino un accordo quadro, da definire poi nel corso del 2017. In ogni caso l’intesa, se e quando ci sarà, andrà sottoposta a referendum in entrambe le zone in cui è divisa l’isola. Nel 2004 un accordo facilitato dalle Nazioni Unite venne bocciato dai greco-ciprioti.
Cipro è divisa dal 1974, da quando la Turchia invase la parte settentrionale dell’isola, per rispondere a un tentativo di colpo di stato orchestrato dai militari greci con l’obiettivo di annettere l’isola. Decine di migliaia di persone scapparono e abbandonarono le loro case. L’isola venne divisa in due. La Repubblica Turca di Cipro Nord, proclamata qualche anno più tardi, venne riconosciuta solo da Ankara. La zona greca è poi entrata nell’Unione Europea.
Negli ultimi anni le relazioni tra le due comunità e i due governi sono migliorate. Anche il muro che divide Nicosia, la capitale della zona greca, definito l’ultimo muro d’Europa, è aperto da parecchio tempo. Ma la divisione rimane, viene definita anacronistica ma rimane. In effetti ci sono ancora diverse questioni da risolvere, proprio quelle questioni di cui si sta discutendo in questi giorni a Ginevra.
Cosa ne sarà dei 30mila militari turchi di stanza nella zona nord e che sulla carta garantiscono la sicurezza della comunità turco-cipriota? Se dovessero lasciare l’isola chi proteggerà gli abitanti di Cipro Nord? I greco-ciprioti, la maggioranza della popolazione, hanno diritto a più territorio? E dovrebbero tornare in possesso dei loro beni, edifici e terreni, abbandonati nel 1974? Quale sarebbe poi la miglior forma di governo per permettere alle due comunità e ai loro rappresentanti politici di condividere il potere? Potrebbe essere sensato prendere come modello il Nord Irlanda e gli accordi tra cattolici e protestanti? Una delle ipotesi è quella di una presidenza a rotazione, ma questo vorrebbe dire che un esponente della comunità turca rappresenterebbe Cipro anche in ambito europeo. Si tratta di un’ipotesi fattibile?
La Turchia è un attore importante, forse il più importante, in tutta questa vicenda. La presenza o l’assenza a Ginevra, giovedì, dello stesso presidente Erdogan, sarà indicativa dello status delle trattative. L’infinito negoziato di adesione di Ankara all’Unione Europea è una delle cause principali del lungo congelamento della trattativa per la riunificazione di Cipro. Oggi sembra essere chiaro a tutti che la Turchia non entrerà nell’Unione Europea, ma nonostante questo Erdogan potrebbe essere favorevole a un accordo, ovviamente se ci saranno dei vantaggi anche per lui.
In questo senso un elemento chiave sarà il dossier energetico. In questi ultimi anni nel Mediterraneo orientale sono stati trovati diversi giacimenti di gas. La zona è propria quella tra Turchia, Cipro, Libano, Israele ed Egitto. Il recente riavvicinamento tra il governo turco e quello israeliano, per esempio, passa proprio da un accordo energetico. Ma per ricevere il gas da Israele i turchi hanno bisogno di un gasdotto che passerebbe proprio dalle acque territoriali cipriote. E gli stessi ciprioti, per sfruttare la loro fetta di torta dei nuovi giacimenti, hanno bisogno di un accordo politico, in sostanza di un unico governo.
L’economia non è sempre l’unica chiave di lettura. Ma è importante. C’è poi un ultimo elemento, che potrebbe convincere la comunità greco-cipriota, finora più scettica, la deriva autoritaria di Erdogan. Per evitare possibili ricadute in casa loro i greco-ciprioti potrebbero sentirsi più tranquilli con un’isola finalmente riunificata. Capiremo già qualcosa nei prossimi giorni.