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Rohingya, i perseguitati nella Birmania di Aung

Sta facendo il giro del mondo la foto di Mohammed Shohayet, un bimbo di soli 16 mesi annegato con la sua famiglia Rohingya mentre cercava di scappare dalla Birmania verso il Bangladesh a bordo di una barca che è colata a picco nel fiume Naf.

“Ecco l’Alan Kurdi Rohingya: ora il mondo prenderà atto?”. E’ l’interrogativo lanciato dalla rete tv statunitense Cnn che, paragonando la foto a quella del bimbo siriano ritrovato su una spiaggia turca nel 2015, vuole accendere un faro sulla persecuzione subita dalla minoranza islamica in Myanmar.

Un popolo che il governo birmano, guidato dalla Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, perseguita per “combattere le infiltrazioni terroristiche islamiche” che hanno provocato attentati e assalti armati. Un popolo, che conta quasi un milione di persone, perseguitato in realtà da sempre, al punto da far parlare diverse associazioni per i diritti umani di genocidio.

Nello stato del Rakhine, dove vive la maggioranza dei Rohingya, vige un durissimo apartheid, che si è ulteriormente inasprito dopo le violenze scoppiate nel 2012. Da allora gli attacchi dell’esercito alle città e ai villaggi di quella regione hanno spinto la popolazione a scappare, per ritrovarsi però bloccati in campi profughi o in aree militarizzate da cui è impossibile uscire. Molte famiglie, come quella di Mohammed Shohayet, tentano periodicamente di scappare in Bangladesh attraversando il fiume Naf.

Lo scorso novembre l’Onu aveva accusato il governo birmano di “pulizia etnica” nei confronti dei Rohingya. Riascolta il servizio del nostro collaboratore Gabriele Battaglia

Gabriele Battaglia – Birmania

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