Il codice etico valido in caso di avviso di garanzia nei confronti dei parlamentari ed eletti del Movimento 5 stelle, licenziato da Beppe Grillo e che da martedì sarà votato in rete, sta infiammando questo freddo inizio d’anno. Compatto il fronte di chi accusa Grillo di essersi scoperto oggi garantista per convenienza – un avviso di garanzia non equivale a una condanna e non prevede una sanzione in automatico – mentre il suo movimento si è affermato proprio rivendicando purezza al cento per cento tra i suoi eletti, che facevano tintinnare manette al grido di “onestà onestà” verso i loro avversari politici toccati da indagini giudiziarie.
Alla luce del nuovo codice è impossibile non guardare al Campidoglio, dove la sindaca Virginia Raggi, archiviata la pausa di Natale contraddistinta comunque dalla bocciatura del bilancio del Comune di Roma e da un Capodanno sui ponti rivelatosi quasi un flop, inizia il 2017 sull’orlo del baratro giudiziario per un avviso di garanzia che potrebbe raggiungerla nell’ambito dell’inchiesta sulla promozione di Renato Marra.
Il fratello del suo ex braccio destro arrestato per corruzione, fu promosso da vigile urbano a responsabile del turismo. Per l’Anac, l’autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, chiamata ad analizzare le carte, su quella promozione si profila un inequivocabile conflitto d’interesse, di cui la prima cittadina era consapevole e informata. Non solo, Virginia Raggi per alleggerire le accuse sul suo ex responsabile del personale ha dichiarato di aver deciso tutto da sola, peggiorando la sua posizione.
Di certo il nuovo decalogo sulla giustizia crea più di qualche dubbio anche all’interno del Movimento 5 stelle. Sulla rete e nelle chat interne fioccano plausi ma anche critiche, sopratutto da parte di chi è eletto al Senato e sottolinea l’eccessiva discrezionalità stabilita da Grillo. All’unisono le opposizioni lo accusano di aver varato un “codice salva Raggi” proprio come fece Berlusconi con il salva Previti.