Nella notte Virginia Raggi ha convocato al Campidoglio i consiglieri municipali e comunali per una verifica della tenuta della maggioranza.
Teme di essere scaricata, teme che le possa essere sottratto l’uso del simbolo del Movimento o addirittura che possa essere sfiduciata dai consiglieri. La guerra nel Movimento 5 Stelle contro di lei -e contro Luigi Di Maio– ha determinato una pressione enorme su Beppe Grillo, a Roma per affrontare il caso.
E questa volta Beppe Grillo non potrà cavarsela con una battuta.
“Te lo avevo detto, ora rimedia. Vanno verificati tutti gli atti fatti da Marra”.
Lo staff della comunicazione pentastellata fa sapere che Grillo avrebbe detto così a Virginia Raggi, nel corso di una telefonata, per chiudere il caso Marra.
Ma l’arresto del capo del personale del Comune di Roma, Raffaele Marra non è una vicenda che si possa sopire con qualche espediente comunicativo, una promessa di ravvedimento operoso, o con un post sul blog. Perché le manette che sono scattate ai suoi polsi hanno fatto scoppiare la guerra nel Movimento 5 Stelle. O meglio, hanno trasformato in una resa dei conti pubblica il conflitto interno che andava avanti a Roma fin dalla candidatura di Raggi al Campidoglio.
E adesso la poltrona di Raggi è a rischio.
Raggi ha tentato la mossa del vertice notturno in Campidoglio perché è assediata.
“Le scuse non bastano” ha tuonato ieri sera la senatrice Paola Taverna, acerrima nemica di Raggi dando ufficialità alle parole che circolavano in Parlamento tra i deputati vicini a Roberto Fico e a Roberta Lombardi: “non servono scuse, serve una assunzione di responsabilità”.
La riunione di ieri con Beppe nelle stanze dell’Hotel Forum, che ospita l’ex comico durante le sue trasferte romane è stata incandescente. C’erano Fico, Lombardi, Taverna, i capigruppo in Parlamento e in Campidoglio, i dirigenti romani del Movimento. E c’era Luigi Di Maio.
Il processo a Raggi è anche un processo a Di Maio che è sempre stato schierato con la Sindaca. Adesso lo scandalo rischia di travolgere anche lui. Il candidato in pectore alla presidenza del Consiglio potrebbe uscirne screditato e malconcio con conseguenze sul suo futuro. Il Movimento 5 Stelle è spaccato e la ferrea disciplina del silenzio imposta ai suoi quadri e dirigenti non riesce a tenere nascosto il conflitto tra l’ala di Fico da una parte e quella di Di Maio dall’altra. L’altro aspirante leader, Alessandro Di Battista cerca di tenersene fuori e in questi giorni, provvidenzialmente, è impegnato in un viaggio all’estero.
Le scuse non bastano e lo storytelling non basta. “Raffaele Marra è solo uno dei 23mila dipendenti del Comune di Roma, con il Movimento 5 Stelle non c’entra” ha detto la Sindaca. E’ un argomento che non tiene. Marra ha assunto da subito un ruolo strategico per Virginia Raggi. Lei lo ha nominato capo di Gabinetto per poi cedere alle pressioni delle correnti a lei ostili, molto forti a Roma, ma spostandolo comunque nello strategico ruolo di capo del personale.
Marra, trait d’union tra il sistema di potere dei tempi di Alemanno e l’era Raggi è, secondo quanto scrive il Gip che ha emesso l’ordinanza di arresto, “uomo che ha la fiducia di Raggi”. Il Gip ha aggiunto: “c’è il rischio di nuovi reati”.
I pentastellati anti Raggi e anti Di Maio dicono: “non possiamo non interpretare quelle parole, non trarne le conseguenze. Sono motivazioni che dicono cose sul piano politico”.
Raggi resta al suo posto. Anche se le scuse chieste a Grillo e accettate dal leader prefigurano un commissariamento. E se poi ci fossero altri sviluppi, magari se le arrivasse un avviso di garanzia per l’inchiesta sulle nomine che ha effettuato al Campidoglio, per cui la Guardia di Finanza giovedì ha sequestrato documenti in Comune, in tanti nel movimento ne chiederebbero le dimissioni. E difenderla diventerebbe molto, molto difficile.
“Stiamo leggendo tutte le carte” dicevano ieri i suoi avversari interni.