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La guerra non è finita

Mentre scriviamo non sappiamo se e quando verrà applicato l’accordo raggiunto mertedì da Russia e Turchia per l’evacuazione di Aleppo Est. Come è successo centinaia di volte in questa guerra, le parti si accusano a vicenda per la ripresa dei raid e dei combattimenti in queste ore.

L’intesa siglata da Mosca e Ankara segna comunque un passaggio importante nella crisi siriana. Innanzitutto, almeno sulla carta, significa che più di centomila persone intrappolate in un fazzoletto di terra nei quartieri orientali di Aleppo non verranno uccise come è successo a moltissimi altri civili siriani in questi anni. I cittadini di Aleppo, soprattutto gli uomini, non volevano uscire per il timore di essere arrestati e costretti ad arruolarsi nell’esercito. In teoria ora questo non dovrebbe succedere. L’intesa per un cessate il fuoco dovrebbe poi mettere fine a una battaglia che andava avanti da anni e a un assedio che negli ultimi mesi aveva costretto la popolazione civile di Aleppo Est a vivere in condizioni disumane. Sulla carta, è ancora necessario usare tutti i condizionali del caso, la mattanza di Aleppo dovrebbe essere finita.

Il regime è così riuscito ad applicare la stessa strategia utilizzata nei mesi scorsi in diversi piccoli centri, soprattutto nella regione di Damasco: assedio, popolazione allo stremo, fame, resa dei ribelli, riconquista del territorio. Il governo siriano controllerà nuovamente la seconda città siriana. Una città in buona parte distrutta, rasa completamente al suolo, ma questo ad Assad importa poco, in questo momento l’importante è riprendere il controllo del territorio.

Aleppo ha dimostrato per l’ennesima volta che senza l’aiuto esterno il regime sarebbe già caduto da tempo. La campagna per Aleppo l’hanno fatta i russi dal cielo e gli iraniani, con il supporto degli Hezbollah libanesi e delle milizie sciite irachene, da terra. Gli attori esterni, ogni tanto è meglio ricordarlo, combattono da entrambe le parti, non solo al fianco dei ribelli.

L’intesa per il cessate il fuoco ad Aleppo è stata raggiunta da Russia e Turchia. Del ruolo di Mosca abbiamo detto più volte. La Turchia, che da alcuni mesi sta accompagnando i ribelli nella riconquista del nord della Siria, si è invece così affermata come principale interlocutore ufficiale della comunità internazionale al fianco dell’opposizione. Erdogan voleva bloccare l’avanzata dei curdi siriani lungo il suo confine sud e allontanare da quella stessa frontiera lo Stato Islamico. Sta riuscendo a fare entrambe le cose. Ci si potrebbe chiedere per quale motivo non si sia spinto fino ad Aleppo. Probabile che questo sia stato l’accordo con Putin già un po’ di tempo fa. Il riavvicinamento tra Ankara e Mosca dopo il gelo per l’abbattimento di un jet russo nel 2015 è passato probabilmente da un’intesa sul nord della Siria.

Uno scenario che sancisce definitivamente, anche causa cambio di amministrazione a Washington, l’uscita di scena dal teatro siriano dell’Occidente. In Siria l’amministrazione Obama aveva fatto per anni un passo in avanti e tre passi indietro. L’arrivo di Trump ha permesso alla Russia di forzare militarmente e di chiudere la battaglia per Aleppo. Probabile che questa tendenza segni il futuro prossimo delle relazioni tra russi e americani.

Tutto questo però non vuol dire che la guerra sia finita. Quanto successo nei giorni scorsi a Palmira ha messo in luce tutta la debolezza dell’esercito siriano, che non è assolutamente in grado di controllare da solo il territorio. Mentre i ribelli, per intransigenza dei loro sponsor regionali e come naturale risposta alla violenta repressione del governo in questi anni, non accetteranno facilmente di abbassare le armi. Variabili che messe insieme producono un quadro ancora molto incerto, che continueranno a pagare i civili. Con la consapevolezza, ormai acclarata dai fatti, che nonostante tutti i rischi legati all’estremismo islamico Bashar al-Assad sia il principale, non l’unico ma il principale, responsabile del disastro siriano.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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