Forza Italia in aula dice No alla fiducia al Governo Gentiloni.
Nelle sedi riservate, invece, sono già stati aperti canali con il Partito Democratico per affrontare il dossier della nuova legge elettorale.
“Magari alla fine non la voteranno ma sono interessati a un testo che vada bene anche a loro” -dicono dal Pd- “si lavora per una proposta da presentare prima del 24 gennaio”.
Ossia prima dell’udienza della Consulta sull’Italicum. Pd e Forza Italia discutono assieme di legge elettorale perché condividono la paura che Grillo, con un maggioritario vecchia maniera, si prenda tutto. Via il ballottaggio e correzioni in senso proporzionale.
L’idea inconfessabile di molti, in entrambi i partiti, sarebbe una legge che consentisse, dopo le elezioni, una “grande coalizione” sul modello tedesco. Un risultato del dialogo potrebbe essere, se non ci saranno intoppi, la “non ostilità” forzista sul percorso in aula. Sarebbe una stampella importante per garantire una chiusura della legislatura in tempi veloci.
L’altra stampella l’ha prefigurata in aula alla Camera Enrico Zanetti di Scelta Civica, ormai tutt’uno con Ala, il gruppo di Denis Verdini. Non votano la fiducia ma escono dall’aula. Se facessero la stessa cosa al Senato significherebbe abbassare il quorum della maggioranza. Oggi il Governo può contare su 169 voti compresi quattro senatori a vita su cinque considerato il No di Mario Monti, con una maggioranza a 161. I 20 bersaniani sono quindi potenzialmente in grado di creare molti problemi all’esecutivo, dopo aver firmato un documento in cui affermano che si riservano di non votare i provvedimenti sgraditi.
Ad esempio quelli sul lavoro. Incombe il pronunciamento della Cassazione che deve ammettere i referendum della Cgil. Il quesito sull’articolo 18, in particolare, è temuto perché costringerebbe la maggioranza a intervenire con delle modifiche, o in ogni caso a pronunciarsi, sul jobs act, uno dei cardini del Governo Renzi. Tanto che l’ipotesi più estrema sarebbe quella di andare a votare prima del referendum, che potrebbe essere fissato tra la metà di aprile e la metà di giugno. Sarebbe un grande azzardo politico ma posticiperebbe il referendum a dopo le elezioni politiche.
I più interessati a votare presto rimangono i renziani. Gli altri, meno. Non solo la minoranza Pd. Mentre Gentiloni era in aula alla Camera a illustrare il programma, si teneva una riunione del gruppo Pd. Tra le diverse componenti della maggioranza renziana sono emerse le sfumature. In Transatlantico esponenti vicini al Governo auspicavano momenti diversi, tra aprile e giugno. Molto dipenderà dall’assemblea del Pd di domenica prossima. Fonti vicine al segretario sussurravano che potrebbe addirittura arrivarci dimissionario. Retroscena a parte, la proposta che Renzi farà per il congresso farà capire qualcosa in più sulla durata della legislatura.