Ieri sera, al Quirinale, dopo il giuramento, come da rituale c’è stata la fotografia del nuovo Governo. Al centro, Paolo Gentiloni. Alla sua destra, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Alla sua sinistra, non il Ministro dell’Interno o quello degli Esteri ma il Ministro dello Sport, sulla carta molto meno importante. Sulla carta. Ma il Ministro dello Sport è Luca Lotti.
Il Governo Gentiloni nasce come un Renzi-bis senza la presenza fisica del segretario del Partito Democratico il quale però può contare su due “watchdog”, due fedelissimi che faranno le sue veci e che rispondono direttamente a lui: Maria Elena Boschi e Lotti. La prima, dopo il fallimento del referendum sulla riforma della Costituzione firmata da lei, è diventata sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il secondo, che ricopriva quel ruolo, appunto allo Sport.
Per il resto non ci sono novità se si esclude il cambio di casacca di Angelino Alfano che diventa Ministro degli Esteri, sostituito al Viminale dal fu d’alemiano Marco Minniti (ieri sera a caldo il bersaniano Nico Stumpo diceva a Radio Popolare, commentando la lista, che questa è la sola nota positiva del Governo, “perché è della mia stessa Regione”).
Se si considerano i nomi, l’impronta differente che si auspicava è del tutto insufficiente.
La guida del ministero dell’Economia resta affidata a Pier Carlo Padoan e questa è la notizia che più interessava a livello internazionale. Gentiloni prova a dare qualche messaggio diverso istituendo il ministero per il Sud, una risposta alla valanga di No arrivati dal Mezzogiorno.
Oltre al Sud, le analisi del voto post referendum dicono che il Pd ha perso consensi tra gli elettori tradizionali, e si guarda alle politiche del lavoro, con il jobs act, l’articolo 18, i voucher, e alla riforma della scuola. Se alla Scuola arriva la ex sindacalista della Cgil Valeria Fedeli, al Lavoro è confermato Giuliano Poletti.
Del resto, lo ha detto lo stesso Gentiloni: “il nuovo Governo proseguirà sulla linea di Renzi”.
Della cosa si sono immediatamente accorti gli oppositori interni di Renzi. Pierluigi Bersani, intervistato da Radio Popolare, diceva, meno di un’ora dopo la lettura della lista dei ministri: “ci devono convincere, la stabilità la garantiamo, ma sui singoli provvedimenti devono convincermi”
Ascolta Pierluigi Bersani
I bersaniani e le minoranze Pd sono cruciali, visto che al Senato non ci sarà la fiducia di Denis Verdini e i numeri sono molto ristretti. I bersaniani voteranno la fiducia “per senso di resposabilità” e si riservano di valutare i singoli provvedimenti. Senza Verdini, il peso specifico della loro scelta aumenta in modo considerevole.
Una responsabilità che trasferisce immediatamente nel Governo la guerra scoppiana nel Pd.
Le minoranze sono all’attacco e vorrebbero che Renzi se ne andasse. Lui non mostra alcun segno di cedimento. Anzi, rilancia. Ieri lo ha fatto due volte. La prima, con la direzione Pd, in cui ancora una volta ha sfidato gli avversari interni -voi il 40 per cento non lo avete mai visto- e ha lanciato congresso subito con elezioni in pochi mesi. Esattamente il contrario di quello che chiedono le minoranze, che hanno bisogno di tempo per costruire una candidatura alternativa a Renzi (ieri Bersani ha ribadito che non sarà lui lo sfidante).
La seconda sfida di Renzi arriva proprio con il Governo Gentiloni. Un Governo fotocopia in risposta a chi chiedeva discontinuità.