Il nuovo presidente del Consiglio dovrebbe avere il volto di Paolo Gentiloni.
Il ministro degli Esteri potrebbe incarnare la mediazione raggiunta nel Partito Democratico. Da una parte Renzi e la sua volontà di non perdere il controllo del partito. Dall’altra le minoranze decise a mandarlo via. In mezzo, Dario Franceschini e la sua corrente “Area Dem”, diventata in questi giorni di crisi l’ago della bilancia del Pd.
Renzi rinuncia al reincarico e affida Palazzo Chigi a un suo uomo, in cambio della garanzia politica che Franceschini non lo molli facendogli perdere la maggioranza in Parlamento e nel partito e in cambio della rassicurazione che la legislatura si concluderà in primavera. Le minoranze ottengono primarie e congresso a marzo, in modo da poter andare a votare dopo aver provato a togliere a Renzi la segreteria e la ricandidatura. Franceschini si assicura una rendita politica in ogni caso.
Ė l’esito di una lunga trattativa all’interno del Pd all’indomani della sconfitta al referendum che ha indebolito Renzi ma che non ha dato alle minoranze la spinta necessaria a mandarlo via immediatamente.
Renzi per tutto il giorno ha incontrato i ministri Padoan, Martina, Gentiloni e alla fine, in serata, l’appuntamento più importante con Dario Franceschini.
Franceschini controlla un numero di deputati sufficiente a fare saltare la maggioranza. Tra i franceschiniani, prima di diventare capogruppo Pd alla Camera, c’era anche Ettore Rosato che ieri mattina diceva:
“La maggioranza politica in Parlamento non c’è più, è morta con il No al referendum”.
Renzi ha dovuto rinunciare ad ascoltare i falchi del suo “giglio magico” che fino all’ultimo hanno fatto circolare la loro visione: elezioni subito, anche senza modifiche alla legge elettorale, qualsiasi sia la decisione della Corte Costituzionale sull’Italicum il 24 gennaio. Era un modo per tenere tirata la corda, mentre la trattativa finale era in corso.
L’incubo di Renzi sarebbe il pantano in aula sulla legge elettorale. Per il segretario Pd è vitale affrontare primarie e congresso con il risultato della nuova legge elettorale in tasca e andare a votare il prima possibile, dato che le opposizioni hanno già iniziato la campagna elettorale centrata sul tema del tradimento delle promesse e dell’attaccamento alla poltrona, argomento peraltro usato a Radio Popolare anche da un bersaniano come il senatore Mucchetti. Più il Governo restasse in carica, più sarebbe un massacro.
L’accordo raggiunto ieri non cancella il dato politico di un partito in cui non ci si fida gli uni degli altri. Un partito dove la battaglia si sposta sul congresso e sarà uno scontro ancora più aspro di quello sul referendum. Matteo Orfini, a sua volta rappresentante della corrente dei “giovani turchi” che si è allontanata da Renzi dopo la vittoria del No, lo ha definito ieri “un partito dove vige l’anarchia”.
Vedremo quanto durerà la tregua raggiunta con l’accordo scaturito dalle consultazioni parallele che Renzi ha tenuto a Palazzo Chigi. Uno strappo alla prassi, una sovrapposizione alle consultazioni formali tenute al Quirinale dal presidente della Repubblica Mattarella che ieri ha incontrato i gruppi minori più Fratelli d’Italia e Lega, e oggi riceverà i gruppi più numerosi.
Ultimo il Pd che, a meno di sorprese dell’ultima ora, si presenterà con la proposta Gentiloni. Ci saranno anche il Movimento 5 Stelle e Forza Italia. I grillini si dichiareranno indisponibili a qualsiasi accordo. Berlusconi potrebbe tentare di tornare in gioco aprendo a un “esecutivo allargato non renziano” con l’obiettivo finale se non di votare, almeno di non ostacolare il percorso di una nuova legge elettorale che lo favorisse e che avesse quindi caratteristiche proporzionali. In vista di una ipotesi di “grande coalizione” che ambienti moderati sia del Pd che di Forza Italia consideravano tra quelle da non scartare per il futuro.