Renzi ha deciso di cavalcare l’onda populista in vista del voto del 4 dicembre.
“Se vince il No non resto abbarbicato alla poltrona, chi pensa a strani pasticci li fa senza di me”.
I consiglieri del premier gli avevano suggerito di rendere meno netta l’associazione tra la sua figura e il referendum. Per un po’ lui lo ha fatto. Poi sono accadute due cose.
La prima è la vittoria di Trump. Renzi non vuole lasciare agli avversari, Grillo e Salvini in particolare, le possibili ricadute in Italia del voto statunitense. Ha iniziato con “il Sì è un voto antisistema” e ora continua con un linguaggio che vuole avvicinarsi a quello che si potrebbe definire “anticasta”: i “pasticci” da non fare, la “poltrona” a cui non restare “abbarbicato”. E ancora, no al “governicchio”: “Io non posso essere quello che si mette d’accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio”. Sono parole che potrebbe usare Grillo, o Salvini, o Berlusconi.
Berlusconi è il secondo fattore. Il capo di Forza Italia ha deciso a sua volta di stare nel mood trumpiano, mettendo da parte il progetto di affidare a Stefano Parisi la rigenerazione di Forza Italia, e ha ribadito la sua indicazione di voto per il No. Ma è un No timido, tant’è che l’ex Cavaliere non sta conducendo una campagna elettorale e soprattutto, ieri, ha affermato che Renzi è il solo leader politico italiano. Berlusconi lascia quindi la porta aperta a un rapporto politico con Renzi dopo il voto, e il premier-segretario rilancia: affermando di non voler guidare governi raffazzonati, vuole mettere Berlusconi sotto pressione, tirandolo nella direzione opposta rispetto a Salvini.
Uno scenario aperto, rispetto al quale è impossibile fare previsioni. Ma se il No vincesse il referendum e Renzi fosse davvero indisponibile a continuare a guidare il governo, nel Pd e al Quirinale dovrebbero trovare un’alternativa. Una di cui si parla da tempo è quella di Dario Franceschini e chi è vicino al ministro della Cultura fa intendere che a lui non dispiacerebbe affatto.