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Un secondo referendum per l’indipendenza

In Scozia ci potrebbe essere un secondo referendum sull’indipendenza. Gli scozzesi hanno appena votato. Era il 2014. Ma la Brexit ha cambiato nuovamente lo scenario politico. La Scozia ha votato per rimanere nell’Unione Europea e un distacco da Bruxelles verrebbe letto dagli scozzesi come un’ulteriore scelta politica che non gli appartiene in alcun modo.

Il governo di Edimburgo ha presentato nel parlamento autonomo un disegno di legge per un secondo voto. Per ora il decreto non verrà messo ai voti. Il governo scozzese aspetta di capire come finirà la Brexit e sarebbe disposto a negoziare con Londra una specie di status speciale. In sostanza rimanere all’interno del mercato unico europeo. Una possibilità che però la stessa Unione Europea non considera fattibile. Insomma, al momento ancora tutto in alto mare. Ma in ogni caso è sempre più evidente come la domanda d’indipendenza, radicata nella storia moderna della Scozia, sia ormai definitivamente matura.

Ne abbiamo parlato con lo storico Tom Devine, uno dei più autorevoli studiosi del nazionalismo scozzese e della storia di questa regione. Pochi anni fa Tom Devine ha pubblicato The Scottish Nation (La Nazione Scozzese). Manca purtroppo un’edizione italiana.

Tom Devine, in Scozia ci sarà sul serio un secondo referendum sull’indipendenza?

“Ripeto sempre che il futuro non è il mio oggetto di studio, visto che sono uno storico, ma posso affermare che ci sono alte probabilità che in Scozia ci sia un secondo referendum per l’indipendenza. Soprattutto se si arriverà a una Brexit molto netta, con pochi legami tra Gran Bretagna e Unione Europea, il che danneggerebbe la Scozia. Ma non stiamo parlando di qualcosa che avverrà a breve. Lo stesso governo scozzese non ha ancora presentato un preciso progetto economico a sostegno dell’indipendenza. In questo momento l’economia è in crisi a causa del calo del prezzo del petrolio”.

Come definirebbe questo periodo della storia scozzese? La Scozia vuole staccarsi dal resto del Regno Unito ma vuole rimanere nell’Unione Europea…

“È un periodo molto importante, particolare. Anche il referendum del 2014 è stato un passaggio molto significativo, anche se l’indipendenza è stata sconfitta. Dal 13esimo al 18esimo secolo la Scozia ha sempre avuto un legame molto stretto con l’Europa. Economicamente, intellettualmente, per quanto riguarda le migrazioni, insomma da diversi punti di vista. Se un secondo referendum dovesse avere successo si tratterebbe sicuramente del fatto più importante nella storia scozzese dall’Unione con Londra del 1707. E sarebbe anche il momento per confermare l’antico legame con l’Europa, che è più antico del legame di cui tutto parlano, quello degli ultimi tre secoli con l’Inghilterra e il suo impero”.

Guardando ancora alla storia scozzese, per quale motivo sta crescendo proprio adesso la voglia d’indipendenza?

“Innanzitutto è cresciuta molto la consapevolezza di un’identità scozzese, che sta prendendo il posto di un’identità più ibrida, che teneva insieme l’essere britannici e l’essere scozzesi. Anzi, per lungo tempo l’identità britannica è stata prevalente, ma l’identità scozzese non è mai scomparsa. Il cambiamento è stato negli ultimi 30 anni, quando la maggior parte delle persone ha cominciato a recuperare la sua identità nazionale. La doppia identità non è ancora scomparsa, ma è sempre meno importante.

Poi c’è un secondo fattore: dagli anni ’80 questo paese ha vissuto un radicale e traumatico cambiamento economico, con la perdita delle sue vecchie industrie. E a torto o a ragione la colpa di questo cambiamento è stata data al Partito Conservatore, per lungo tempo al governo a Londra. Allo stesso tempo con gli anni 2000 il principale partito in Scozia, il Partito Laburista, è letteralmente imploso. Nel 2015 ha vinto un solo seggio, un risultato impensabile pochi anni prima per il partito che per decenni era il più presente nella società scozzese. E questo fenomeno è stato accompagnato dall’ascesa del Partito Nazionale Scozzese: non solo per il desiderio di autodeterminazione con la nascita del parlamento autonomo nel 1999, ma anche per la sua grande competenza nell’amministrazione della cosa pubblica. Il Partito Nazionale Scozzese ha governato molto bene e questo ha fatto aumentare il suo consenso”.

Ancora, Tom Devine, come spiegherebbe, come racconterebbe il nazionalismo scozzese a chi non conosce la Scozia? Normalmente il nazionalismo viene associato a qualcosa di negativo. I movimenti nazionalisti hanno spesso una connotazione negativa…

“Per un lungo periodo, dopo la seconda guerra mondiale, il Partito Nazionale Scozzese, che oggi è il primo partito, era un’organizzazione piccola e marginale. In uno dei miei libri l’ho definito una setta, una setta politica. Durante e dopo la guerra il nazionalismo era ovviamente una forza negativa. Ma poi c’è stata una trasformazione importante, in un partito nazionalista non più su base etnica. Se ricordate nel 2014, nel referendum sull’indipendenza, avevano diritto di voto non solo gli scozzesi, ma tutti i residenti in Scozia. Asiatici, inglesi, cittadini di altri paesi europei. Stiamo quindi parlando di un nazionalismo civico. Non ci sono elementi etnici, c’è una visione socialdemocratica per migliorare la società scozzese. Questo processo è andato poi di pari passo con lo spostamento a destra del Partito Laburista. Il Partito Nazionale Scozzese e il nazionalismo scozzese hanno proprio riempito il vuoto lasciato dai laburisti britannici alla fine del secolo scorso. Da un punto di vista pratico niente tasse per gli studenti fino alla prima laurea, niente ricette a pagamento per le medicine, il congelamento delle tasse comunali sulla casa. Politiche vicine ai partiti progressisti scandinavi. Grazie a questo i nazionalisti scozzesi sono riusciti a comunicare un progetto tutto loro d’indipendenza. Indipendenza come strumento per sottrarsi al dominio assoluto dei Conservatori che controllano il parlamento di Londra a Westminster”.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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