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Morire senza nome in terra straniera

Belgio, periferia di Liegi tra l’autostrada e un tratto del fiume Mosa. Zone già viste nei film di Jean-Pierre e Luc Dardenne e che i due fratelli cineasti, ricchi di Palme d’Oro, considerano indispensabili per ambientare le loro storie. Sono zone operaie, che hanno visto la nascita e il tramonto delle industrie siderurgiche, con lotte di resistenza quotidiana per mantenere il posto di lavoro e che testimoniano il transito e lo stabilizzarsi degli immigrati, soprattutto dall’Africa.

Nel nuovo film La ragazza senza nome, tutto gira intorno a una donna di origini africane, assassinata e senza identità. A indagare sul caso è la dottoressa Jenny Davin (l’attrice francese Adèle Haenel), guidata dal senso di colpa di non aver aperto la porte dell’ ambulatorio in cui lavora, quando a tarda notte sentì suonare il campanello. L’unico indizio infatti è questo: che la donna senza nome, bussò per chiedere aiuto poco prima di essere raggiunta dal killer.

In un film che ha l’ambizione di chiamare in causa il genere del polar, in una sorta di noir sociale, i Dardenne raggiungono ancora una volta l’obiettivo di raccontare la realtà. In ogni storia che propongono al pubblico, da Rosetta a L’Enfant, passando da Il figlio a Due giorni, una notte i due fratelli analizzano e trasformano in sceneggiatura la realtà che osservono intorno a loro. Se non sono vere, sono plausibili e cotengono elementi legati a doppio filo con le contraddizioni sociali.

Nel caso di La ragazza senza nome, oltre alla tenace e ossessiva ricerca da parte della protagonista di scoprire l’identità della donna uccisa e dell’assassino, la cornice di pazienti dell’ambulatorio è uno spaccato umano e sociale di questa epoca. Così come le persone, legate al crimine e all’illegalità, che Jenny incontra nella sua forsennata indgine.

Infine, come quasi in ogni film di Jean-Pierre e Luc Dardenne il cast tende a essere sempre lo stesso e come se fosse una compagnia teatrale, i due registi portano sempre con se Jérémie Renier, Fabrizio Rongione e Olivier Gourmet. Cambiano solo le donne, protagoniste, come per gli ultimi film in cui hanno recitato Marion Cotillard (Due giorni una notte), Cécile de France (Il ragazzo con la bicicletta) e Arta Dobroshi (Il matrimonio di Lorna) e la memorabile Emilie Dequenne che con Rosetta vinse giovanissima la Palma come miglior attrice nel 1999.

Ascolta l’intervista a Jean-Pierre e Luc Dardenne

Dardenne

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    1) Il gabinetto di sicurezza israeliano approva l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Fino a domenica, però, le bombe continueranno a cadere. Più di 100 persone sono state uccise nella striscia dall’annuncio dell’accordo. (Anna Momigliano - Haaretz, Francesco Sacchi - Emergency, Anna Meli - Cospe) 2) Fentanyl, Taiwan e Tik Tok. Donald Trump e Xi Jinping parlano al telefono per la prima volta dal 2021. “Risolveremo tutti i problemi insieme” dice Trump, mentre la corte suprema statunitense conferma il bando di TikTok. (Gabriele Battaglia) 3) La Geopolitica dell’AI. Washington cerca di mantenere il suo vantaggio nella battagli per l’intelligenza artificiale. (Marco Schiaffino) 4) La legge di depenalizzazione dell’aborto in Francia compie 50 anni. Il discorso di Simon Veil, pronunciato davanti ad un’Assemblea tutta maschile, fece la storia. 5) Mondialità. La sconfitta della diplomazia e la geopolitica nel frullatore. (Alfredo Somoza)

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    Bar e ristoranti sotto sfratto in stazione Centrale, 68 licenziamenti

    Sessantotto lavoratori e lavoratrici della ristorazione licenziati. Grandi Stazioni Retail ha deciso di non rinnovare il contratto d’affitto con Sarf, la società che da anni gestisce alcuni esercizi commerciali negli spazi della stazione Centrale di Milano. Da qui l’annuncio dei licenziamenti. I sindacati hanno indetto la prima di una serie di giornate di sciopero e oggi hanno fatto un presidio in piazza Duca d’Aosta, vicino all’ingresso della stazione. Abbiamo intervistato Valeria Cardamuro, segretaria della Uiltucs Lombardia.

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    Poveri ma belli di venerdì 17/01/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    "Lonely Are All Bridges. Birgit Jurgenssen e Cinzia Ruggeri" è il titolo della mostra aperta al pubblico da oggi negli spazi di Fondazione ICA a Milano in via Orobia 26, fino al 15 marzo. La Fondazione ICA Milano ha inaugurato così la programmazione espositiva del 2025 con un progetto espositivo bipersonale, con la eccezionale curatela dell’artista Maurizio Cattelan e Marta Papini. La mostra celebra il lavoro di due artiste iconiche, Birgit Jürgenssen (Vienna, 1949 – 2003) e Cinzia Ruggeri (Milano, 1942 – 2019), mai incontratesi di persona, ma idealmente in dialogo attraverso le loro opere, visioni e riflessioni. Il titolo della mostra è tratto da un verso della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann, “lonely are all bridges”, che sintetizza lo spirito sperimentale di due artiste il cui lavoro si spinge oltre le convenzioni, sfida i confini tra arti e costruisce ponti in grado di attraversare discipline differenti, trasformando il quotidiano in un racconto dalla forte dimensione critica. Oggi a Cult, Ira Rubini ne ha parlato con Manuela Accinno.

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