La Spagna è rimasta senza governo per quasi un anno. Ci sono volute due elezioni e il rischio di tornare per la terza volta alle urne prima di trovare un accordo nel parlamento di Madrid per eleggere un presidente. L’ex premier conservatore Mariano Rajoy sarà nominato capo del governo nei prossimi giorni grazie all’astensione dei 90 parlamentari del Partito socialista.
Quello di Rajoy sarà un governo di minoranza, che dovrà di volta in volta negoziare ogni provvedimento. Ma il prezzo più alto di questa decisione lo pagano i socialisti spagnoli, che dopo aver sostenuto per un anno intero il no a Rajoy, hanno deciso di astenersi per evitare il terzo ritorno alle urne. Il cambio di rotta non è stato facile. Il partito si è spaccato e lo scontro è stato duro.
Il primo a cadere è stato l’ex segretario Pedro Sánchez, ritenuto responsabile dei pessimi risultati elettorali ottenuti dal partito socialista. Sánchez è stato destituito ai primi di ottobre in una violenta riunione. A guidare la rivolta c’era Susana Diaz (nella foto), governatrice dell’Andalusia, il granaio di voti del partito, fin dall’inizio favorevole all’astensione. Si parla di lei come della nuova leader del socialismo spagnolo.
Poi, questo fine settima la direzione nazionale del partito ha ratificato la decisione di astenersi per permettere la formazione del governo di Mariano Rajoy. Un’inversione che ha sconcertato molti militanti socialisti, che in tutta la Spagna hanno organizzato assemblee per esprimere la loro contrarietà all’astensione.
Alcuni deputati, per esempio quelli della Catalogna, delle isole Baleari e di altre regioni, sono disposti a rompere la disciplina di partito per coerenza: “Non possiamo lasciare la Spagna per altri quattro anni in mano al Partido popular”. Il rischio di rottura del partito di riferimento della sinistra spagnola è grande. E Podemos è pronto a occupare lo spazio lasciato libero dalla crisi del partito socialista e ottenere quel sorpasso che finora non è riuscito.