“Gli animali corrono fino all’ultimo, non intendo essere da meno”.
Un paio di anni fa, durante un’intervista alla trasmissione Olio di Canfora, Marco Olmo diceva così. Non ha cambiato idea: due settimane fa ha coperto in 16 ore i 170 km e le sei tappe dell’Ultra Trail della Bolivia, ai 4.000 metri di quota del Salar de Uyuni, e ha aggiunto una nuova coppa in bacheca.
Cinque giorni dopo era di nuovo in gara sugli Appennini e comunicava la 22esima iscrizione personale alla Marathon des Sables, massacrante competizione nel Sahara marocchino.
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Marco Olmo è uno personaggio unico, uno dei più straordinari atleti che l’Italia possa vantare. Piemontese, classe 1948, ha lavorato come boscaiolo e camionista, prima di spendere oltre vent’anni in una cementeria nel cuneese.
A 27 anni ha iniziato a correre; a 48, quando gli altri smettevano, la prima gara. Nel 2006 e nel 2007 ha vinto l’Ultra Trail del Monte Bianco, 160 chilometri e quasi 10mila metri di dislivello attorno alla vetta più alta delle Alpi, una delle competizioni più estreme al mondo.
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Ha corso in ogni condizione, dal deserto alle altitudini più proibitive. È diventato un mito, celebrato dagli appassionati di ultra trail di tutto il mondo, è stato il protagonista di video e canzoni. A giorni uscirà la sua biografia per Mondadori.
Lo abbiamo intervistato, per chiedergli se continuerà a seguire le tracce degli animali lungo le cime.