Un anno fa la Russia entrava con tutta la sua forza militare nella guerra siriana. Fino ad allora Mosca aveva aiutato con armi e soldi il regime di Damasco, ma nel settembre del 2015 Assad era in seria difficoltà e aveva bisogno di un aiuto diretto. Il presidente siriano non rischiava di cadere, ma il territorio sotto il suo controllo si stava riducendo. I ribelli erano riusciti ad avanzare persino nella roccaforte della comunità alawita, la stessa della famiglia Assad, la provincia di Latakia, sulla costa mediterranea.
L’intervento massiccio dell’aviazione russa cambiò il corso della guerra siriana. Da allora il regime ha riconquistato i territori strategicamente più importanti. Il confine libanese, la Siria centrale tra Homs e Hama, ha respinto i ribelli che si erano affacciati a nord di Latakia, e soprattutto ha potuto iniziare la campagna per la riconquista di Aleppo, che in queste ultime settimane sta mostrando le peggiori atrocità di questi cinque anni di guerra.
Nonostante le critiche occidentali, nonostante il tentativo di negoziato con gli Stati Uniti e soprattutto nonostante le tantissime vittime civili Putin non si è fermato. Il Cremlino è convinto che per consolidare il potere di Assad e quindi la sua influenza in Medio Oriente sia indispensabile riprendere Aleppo a ogni costo. Se questo vuol dire sterminare la popolazione civile, bombardare scuole e ospedali, uccidere migliaia di bambini poco importa. Ad Aleppo ci sono i terroristi e le bombe sono l’unico mezzo per fermarli.
Un approccio che in parte ricorda quello usato dalla Russia in Cecenia negli anni ’90. “Ci sono dei punti in comune e anche qualche continuità – ci spiega Marco Buttino, che insegna Storia Contemporanea all’Università di Torino ed è un esperto di Russia e Asia Centrale. Adesso come allora la Russia dice di essere aggredita da dai nemici, in particolare dagli estremisti islamici. Mosca usa questa minaccia, in parte costruita con la sua macchina propagandistica, come strumento di politica interna e come mezzo per consolidare la conquista di territorio, prima all’interno del paese adesso all’esterno, in zone dove Mosca cerca di ridisegnare gli equilibri internazionali”.
Oltre all’attivismo russo c’è un altro elemento che ci riporta alle guerre in Cecenia, il radicalismo islamico. Proprio in queste ore il ministro degli esteri di Mosca, Lavrov, ha accusato gli Stati Uniti di coprire i gruppi islamisti di Aleppo. L’accordo per il cessate il fuoco siglato a Ginevra chiedeva a Washington di convincere i ribelli più moderati a prendere le distanze dalle organizzazioni legate alla rete di al-Qaida. Il Dipartimento di Stato americano ha risposto che è proprio la violenza della campagna militare di Putin e Assad a spingere i gruppi laici nelle mani degli estremisti. Difficile dargli torto.
“In Cecenia – ci ricorda ancora Marco Buttino – furono la repressione e il rifiuto di riconoscere degli interlocutori politici a Grozny ad alimentare e a dare spazio di manovra al radicalismo islamico. In Cecenia gli interlocutori moderati c’erano, ma non vennero considerati. In Siria mi sembra ci sia una situazione simile. La Russia dice che non si può trattare con l’opposizione, punto. Quindi non c’è soluzione politica. Vince solo chi tira più bombe. E in Cecenia la Russia vinse proprio tirando più bombe”.
La Siria non è il Caucaso, ma anche sulla nascita del radicalismo islamico è possibile fare un parallelo. “In Cecenia – continua Marco Buttino – le radici dell’estremismo islamico erano radici immaginarie. C’erano state rivolte un secolo prima, ma che negli anni ’90 vennero trasformate da Mosca in un mito per dipingere tutti i ceceni come dei terroristi. E fecero lo stesso i Ceceni, per rappresentarsi come combattenti con degli eroi nel passato. Ci fu retorica da entrambe le parti. In Cecenia c’erano dei problemi sociali giganteschi, una popolazione deportata ma nulla a che vedere con terrorismo e rivolta armata”.
In ogni caso anche questa volta la strategia di Mosca sembra vincente. Prima o poi, magari quando sarà stata completamente distrutta, Aleppo cadrà nuovamente nelle mani del regime, Assad avrà consolidato il controllo su una buona parte del territorio siriano, sicuramente quella più popolata, la Russia avrà messo dei paletti sulla sua sfera d’influenza. Se al potere ci sarà Assad o un altro presidente cambierà poco.
A volte la storia ci può aiutare a capire il presente. In questo caso la storia delle guerre in Cecenia ci può aiutare a comprendere la strategia Russia in Siria, andando oltre le immagini, purtroppo molto simili, di Aleppo e Grozny entrambe rase al suolo dai bombardamenti aerei.