Il partito socialista spagnolo è sull’orlo della scissione. Ieri 17 membri del comitato esecutivo del partito si sono dimessi in dissenso con il segretario Pedro Sánchez. L’obiettivo di queste dimissioni di massa era provocare le dimissioni del segretario. Sánchez è considerato il responsabile del peggior risultato elettorale nella storia del socialismo spagnolo, a un passo da essere superato da Podemos.
Una crisi che si è aggravata dopo il voto in Galizia e nei Paesi Baschi di domenica scorsa. Sánchez sostiene il No a oltranza a un governo guidato dal leader popolare Mariano Rajoy, mentre la maggior parte del partito è favorevole all’astensione, che eviterebbe il ritorno alle urne per la terza volta in un anno e che darebbe alla Spagna un governo.
Dietro a questa rivolta ci sono i dirigenti locali delle Regioni dove governano i socialisti: Andalusia, La Mancia, Aragona. L’assenza di governo a Madrid ha bloccato il finanziamento delle Regioni che potrebbe obbligare a nuovi tagli.
Pedro Sánchez è stato duramente attaccato anche dall’ex presidente spagnolo Felipe Gonzales, padre nobile del partito, che ha detto di sentirsi deluso da Sánchez.
Dopo le dimissioni di massa di ieri un settore del partito non considera più Sánchez come il leader dei socialisti. Ma il segretario resiste, e dice di essere l’unico rappresentante legale del partito perché è stato leggittimato dalle primarie e non può essere destituito da una manovra di palazzo.
Una questione che potrebbe finire nei tribunali.