
Mario Vargas Llosa è stato uno dei grandi protagonisti del boom letterario latino-americano negli anni ’60-’70 insieme al colombiano Gabriel García Márquez, del quale era grande amico, all’argentino Julio Cortázar, al messicano Carlos Fuentes. I suoi libri partono con racconti quasi autobiografici della sua infanzia e della sua adolescenza nel Perù, per poi man mano diventare un racconto non soltanto del Perù, ma dell’America Latina.
I suoi personaggi spaziavano da un caporale sperduto nella foresta amazzonica, anche nella parte dei suoi romanzi storici, la storia romanzata del tremendo dittatore della Repubblica Dominicana Trujillo, piuttosto che le avventure di una irlandese in Africa ai tempi del Congo belga.
Quindi una persona che ha avuto una produzione letteraria infinita – tra l’altro il suo ultimo libro è uscito pochissimi mesi fa – e che poi ha avuto la passione per la politica: candidato alla presidenza del Perù nel 1980, fu sconfitto da Alberto Fujimori e la delusione fu così scottante che abbandonò il suo paese, prese la cittadinanza spagnola e restò a vivere in Spagna, dove poi alla fine fu fatto anche marchese, oltre a essere stato l’unico autore che non aveva mai scritto un libro in francese a essere accettato nell’Académie di Parigi.
Mario Vargas Llosa ha raggiunto il massimo che si poteva ottenere come scrittore, lasciando in sospeso, invece, quella che era stata la sua passione politica per il suo paese, ma lascia una produzione infinita, con personaggi che vanno dai minatori agli schiavi in lotta per la libertà degli ultimi dell’Amazzonia fino ai dittatori tropicali, cioè personaggi che hanno ridisegnato una storia popolare dell’America Latina dagli anni ’60 in poi.