
I nuovi dati Istat sulla produzione industriale indicano un calo per il ventiquattresimo mese consecutivo: sono 26 mesi su 27 da quando c’è il governo Meloni. Il che la dice lunga sulla totale assenza di politiche industriali del governo di destra. A Trascinare verso il basso la produzione industriale è il settore auto, in crisi da tempo, ed esempio plastico dell’abbandono di un settore trainante da parte della politica, del tutto succube ai chiari di luna di Stellantis. L’azienda degli Elkann, pronta a correre negli Usa di trump, in Italia guarda ormai al militare. Ma non è l’unica.
Il piano Europeo per il riarmo deve così essere sembrato l’occasione, per il governo, per dare la spallata definitiva. E così, al tavolo convocato venerdì sull’industria dell’Auto, è arrivata la svolta: Il governo si prepara all’economia di guerra e molla l’industria dell’auto.
Il ministro dell’impresa e dell’industria Adolfo Urso, al tavolo con imprese e sindacati convocato per oggi ha invitato le aziende dell’automotive a “diversificare e riconvertire le proprie attività verso la difesa”.
La strategia del governo ormai è esplicita ma la “svolta” si preparava da tempo: il taglio al fondo automotive nella manovra economica, con i fondi dirottati alla difesa, era evidentemente il primo passo. Alle indiscrezioni sui giornali sono seguite le parole del ministro dell’economia Giorgetti, e ora quelle di Urso. L’illusione è “salvare” l’industria passando dalle auto, ai carri armati, per usare una metafora, forse nemmeno troppo metafora.
Il ministro dell’impresa e dell’industria Adolfo Urso, al tavolo con imprese e sindacati convocato per oggi ha invitato le aziende dell’automotive a “diversificare e riconvertire le proprie attività verso la difesa”.
La strategia del governo ormai è esplicita ma la “svolta” si preparava da tempo: il taglio al fondo automotive nella manovra economica, con i fondi dirottati alla difesa, era evidentemente il primo passo. Alle indiscrezioni sui giornali sono seguite le parole del ministro dell’economia Giorgetti, e ora quelle di Urso. L’illusione è “salvare” l’industria passando dalle auto, ai carri armati, per usare una metafora, forse nemmeno troppo metafora.
Un viaggio a Torino, in occasione del convegno annuale di Alleanza Clima Lavoro, l’associazione che mette insieme ambientalisti e sindacato, è una buona occasione per tastare il polso. Partendo dall’Aeroporto.
I cantieri dell’aeroporto Caselle hanno un nome: Leonardo. Un delegato racconta che l’azienda si sta allargando, raddoppiando i suoi spazi, usando quelli che Stellantis ha concesso, dove prima arrivavano gli aerei provati degli Agnelli. “stiamo raddoppiando la verniciatura e allargando la fabbrica” racconta. Se Leonardo sta già spostando da tempo i suoi investimenti dal civile al militare, vedi l’uscita dal capitale di Industria Italiana Autobus, unica industria pubblica che produceva il mezzo urbano collettivo, anche le altre aziende si stanno adeguando all’aria che tira, e non da ora. Sono gli stessi delegati delle fabbriche dell’automotive del torinese a raccontare che la contro-riconversione, dal civile al militare, la stanno già vivendo. “La mia azienda si occupa di ingegneria, è piuttosto lontana dall’ambito della difesa. Ma sta valutando investimenti in quel settore” racconta un giovane delegato che aggiunge “per me, obbiettore di coscienza, è un problema”. I due delegati di un’azienda che tratta metalli spiegano che già differenziano i propri committenti, che si allargheranno anche all’ambito difesa. “Si sta pensando di investire sulle armi, non sull’automotive” conferma il delegato di un’altra industria metalmeccanica.
Il ministro Urso definisce il comparto bellico un settore “in forte espansione” e su questo purtroppo non c’è dubbio, e ad alta redditività. E qui invece i dubbi sono decisamente maggiori. “Al di là dell’aspetto etico, non riusciamo a riconvertire il settore auto verso l’elettrico, come si può pensare di riconvertirlo al militare? E con quali ricadute sui posti di lavoro?” sono i dubbi espressi dal responsabile Auto della Fiom Samuele Lodi. La Fim-Cisl, invece, parla di “opportunità da cogliere”.
Intanto, come dicevamo, la produzione industriale continua a calare: il dato di gennaio dice meno 0,6 su dicembre, e meno 3,6% su base annua, al netto delle variazioni di calendario. Curiosamente l’Istat nella sua nota stampa evidenzia il dato destagionalizzato, che sul mese precedente vedrebbe un segno più, essendoci state, a dicembre, più festività in cui non si è lavorato. Ma giare un po’ i numeri non cambia la sostanza. In un quadro già debole arrriva la mannaia dei dazi: Nel 2024 le esportazioni verso gli Stati Uniti sono stato il 10% del totale e oltre un quinto di quelle extraeuropa. I dazi mettono a nudo la vera debolezza del sistema italiano: salari bassi proprio per spingere l’export puntando sul basso costo del lavoro, di conseguenza un mercato interno fermo. Il freno sull’export dunque rischia di essere un colpo durissimo, e non basterà “trasformare un’auto in carro armato” per colmare il gap, o migliorare i salari di chi vi lavora.