
I paesi arabi stanno cercando di mettere sul piatto un piano per Gaza alternativo a quello di Trump. Al momento la proposta più concreta è quella presentata al vertice di ieri al Cairo, che in buona parte, soprattutto per la ricostruzione, ha adottato un piano egiziano. Sul fronte arabo l’Egitto è con Arabia Saudita l’attore principale.
La proposta adottata dal vertice – in buona parte contenuta in un documento di oltre cento pagine – si divide sostanzialmente in due parti: una più pratica appunto sulla ricostruzione della Striscia, un’altra più politica supportata anche da una serie di dichiarazioni rilasciate nelle ultime 24 ore da diversi leader regionali. Quindi cosa hanno proposto i paesi arabi in contrapposizione all’idea di Trump, che come sappiamo aveva proposto lo spostamento della popolazione civile di Gaza?
Partiamo dalla ricostruzione, per la quale gli arabi hanno messo sul tavolo un piano da 53 miliardi di dollari, in buona parte finanziato dalle monarchie del Golfo e realizzato soprattutto da imprese egiziane. I finanziamenti verrebbero gestiti da un fondo della Banca Mondiale. E la ricostruzione verrebbe divisa in tre fasi e durerebbe circa 5 anni. Verrebbero prima rimosse le macerie – ce ne sarebbero circa 50 milioni di tonnellate che in parte potrebbero anche essere riciclate. Verrebbero poi utilizzate centinaia di migliaia di edifici provvisori per ospitare gli sfollati, che anche in questa fase rimarrebbero sempre nella Striscia. E verrebbero infine costruite altre centinaia di migliaia di case e abitazioni nuove.
Oltre alle case il piano del Cairo prevede anche diverse altre strutture: un aeroporto, due porti, centri commerciali, un hub tecnologico, una zona industriale. Tutto questo progetto verrebbe comunque implementato dopo una specifica conferenza sulla ricostruzione, che sulla carta dovrebbe tenersi a un certo punto sempre in Egitto.
Vediamo la seconda parte della proposta araba. Quella più politica. Ovviamente c’è il rifiuto dello spostamento dei palestinesi di Gaza proposto da Trump. Al Cairo lo ha condannato nuovamente anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres. La fase della ricostruzione verrebbe gestita da un comitato tecnico palestinese, quindi senza Hamas e senza esponenti politici.
Per il futuro politico della Striscia i paesi arabi propongono invece un ruolo di primo piano per l’ANP, l’Autorità Nazionale Palestinese che oggi amministra parzialmente la Cisgiordania. L’ANP andrebbe però, dicono i paesi arabi, riformata. C’è poca chiarezza sul futuro di Hamas. Molti paesi arabi vorrebbero che uscisse di scena. Ma le posizioni sono varie. L’organizzazione ha detto di aver accolto con favore questo piano arabo ma ha precisato che lascerebbe le armi solo nel caso in cui si arrivasse a uno stato palestinese.
E la nascita di uno stato palestinese è un altro punto fermo di questa proposta. Israele e Stati Uniti hanno ribadito che la loro idea è quella avanzata da Trump. Anche se non sarà praticabile. Hanno quindi bocciato la proposta araba. Ma anche questa è appunto solo una proposta, che solo per essere valutata a dovere richiederebbe la fine del conflitto. Mentre il rischio di un ritorno alla guerra è concreto.
Alcuni elementi sulla ricostruzione di Gaza erano già contenuti negli Accordi di Oslo di 30 anni fa tra israeliani e palestinesi. Non sono mai stati implementati. Questa volta gli arabi – politicamente deboli e spesso anche lontani dai palestinesi – hanno però una carta da giocare con Trump. La possibile normalizzazione delle loro relazioni con Israele. La strada è lunga e tortuosa.