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La cancellazione della conferenza stampa congiunta alla fine dell’incontro tra Volodymyr Zelensky e Keith Kellogg è il segno di dubbi e incognite che si addensano sulle relazioni tra Stati Uniti e Ucraina.
C’è stato lo scambio di battute al vetriolo tra Zelensky e Donald Trump. C’è, forse, qualcosa di più, e riguarda il mandato per discutere di Ucraina di Kellogg, un generale in pensione che non ha preso parte ai colloqui di Riyad tra russi e americani. Kellogg, che da mesi lavora a un piano di pace in Ucraina, appartiene comunque a quei vecchi ambienti militari che sicuramente non vedono di buon occhio l’improvviso gettarsi dell’America tra le braccia di Vladimir Putin.
La gestione della faccenda, a questo punto, sembra però tra le mani dei settori dell’amministrazione più sensibili al business. Non è un caso che a Riyad non ci fosse appunto il generale, Kellogg, ma ci fosse un miliardario, immobiliarista, Steve Witkoff. Sempre più, la fine del conflitto in Ucraina appare per gli Stati Uniti un buon affare. In gioco c’è la riapertura dei canali commerciali con la Russia. C’è anche da mettere le mani sulle risorse ucraine, con Mike Waltz, il consigliere alla sicurezza nazionale di Trump, che ha intimato agli ucraini di firmare il documento che da Washington hanno mandato a Kiev, e che prevede il trasferimento del 50% delle risorse minerarie ucraine agli Stati Uniti.
È questa la linea al momento prevalente nella capitale americana. Una linea che non teme di buttare a mare le vecchie relazioni transatlantiche e la solidarietà con Kiev, in nome appunto di un copioso ritorno economico. Una linea che potrebbe, forse, essere messa in discussione da settori del Pentagono e del vecchio partito repubblicano. Che però, al momento, tacciono.