
Flood the zone. È la tattica teorizzata da Steve Bannon, guru, o ex guru, non è chiarissimo, di Donald Trump. Flood the zone comporta proprio il travolgere avversari, media, istituzioni, con un fiume di atti, dichiarazioni, minacce, proposte più o meno assurde. Sotto questa sorta di bombardamento a tappeto, il nemico, ma anche l’amico, dovrebbe essere preso da una sorta di stupore paralizzante, di passiva incredulità.
In un mese di governo, dall’inaugurazione del 20 gennaio, Trump ha in effetti scaricato sull’America e sul mondo un fiume, meglio, un oceano di azioni e dichiarazioni che hanno modificato equilibri globali e stanno trasformando nel profondo l’America. Impressionante è la scena internazionale. Anzitutto il Medioriente. Per anni le amministrazioni americane, democratiche e repubblicane, si sono mantenute fedeli alla soluzione dei due Stati. L’idea di trasformare Gaza in una “Riviera” per miliardari manda all’aria tutto. Trump vuole trovare un pezzo di terra fresca e bellissima per i palestinesi. Non dice dove, ma non importa. L’importante è che se ne vadano. Quanto alla Cisgiordania, spiega che deciderà Israele. Sottinteso. Decidere se annetterla o meno. Sia come sia, la conclusione è una sola. Lo Stato palestinese, come d’incanto, non esiste più. Altrettanto dirompente, altrettanto clamorosa, è la trasformazione in tema di vecchi rapporti transatlantici.
Liquidando il passato con un tratto di penna, veloce e indifferente, Trump decide di far la pace con Vladimir Putin, molla al suo destino l’Ucraina, spezza il legame decennale con l’Europa. Nel giro di valzer conta sicuramente la promessa di buoni affari che Putin fa balenare di fronte a Trump, quei 384 miliardi di dollari che le aziende americane avrebbero perso nei tre anni di guerra. Il ribaltamento lascia comunque senza parole. Ora è Zelensky il dittatore. Ora è l’Europa – secondo il vicepresidente JD Vance – ad allontanarsi dai principi democratici. Sul breve periodo, è facile immaginare quello che succederà all’Ucraina. Zelensky incontra l’inviato americano Keith Kellog, ma il suo recente scontro con Trump equivale alla fine della sua carriera politica. Stati Uniti, e Russia, si troveranno un leader ucraino meno ingombrante.
Quanto all’Europa, vale quello che ha detto la prima ministra danese, Mette Frederiksen. L’America non c’è più e “tocca a noi pensare a noi stessi”. Si potrebbe poi continuare e continuare. L’elenco di sparate e minacce di Trump in un mese è lunghissimo. Dazi generalizzati sull’intero globo. Occupazione del canale di Panama. Acquisto della Groenlandia. Canada trasformato nel 51esimo Stato americano. Riapertura di Guantanamo come campo di detenzione per i migranti.
Prima che la testa cominci a girare, dal mondo torniamo negli Stati Uniti. In realtà, non va meglio. Cancellazione dello ius soli. Licenziamenti, a migliaia, di dipendenti federali. Eliminazione delle agenzie considerate non in linea con gli orientamenti ideologici di Trump e fine dell’indipendenza per altre che si occupano di questioni sensibili di regolamentazione finanziaria come la Security and Exchange Commission e la Federal Deposit Insurance Corporation. Bando ai transgender. Purghe nel Dipartimento alla giustizia. Licenziamento per i 36 membri del board del Kennedy Center, la più prestigiosa istituzione culturale federale, sostituiti da un’unica persona, lui, Donald Trump, la cui prima decisione è stata annullare il concerto di un coro gay.
E ancora: i collaboratori di un miliardario e privato cittadino, Elon Musk, che fanno irruzione negli uffici dei ministeri, chiedono le password dei computer, entrano nei file riservati dei cittadini e si impadroniscono dei loro dati, mentre il loro capo macina idee e strategie per cacciare migliaia di persone dal governo degli Stati Uniti. Intanto i giudici che osano bloccare questi ordini sono presi di mira come nemici politici che non fanno lavorare la nuova amministrazione.
Nei prossimi giorni la Corte Suprema deve decidere se i giudici hanno il diritto di limitare i poteri del presidente. Lui, Donald Trump, non ha dubbi. Ha fatto mettere sull’account ufficiale della Casa Bianca una sua immagine. Lo si vede, seduto, incoronato, con una scritta. Lunga vita al re. È passato un mese, sembra un’eternità, non c’è stato un cambio di governo, c’è stato un cambio di regime e, come tutti i regimi, il regime Trump ha un volto per nulla rassicurante.