La sua testimonianza fu la scintilla che accese il movimento #MeToo nel cinema francese nel 2019. L’anno dopo divenne un simbolo femminista lasciando la premiazione dei César per protestare contro l’assegnazione del premio come miglior realizzatore a Roman Polanski.
Oggi, Adèle Haenel ha ottenuto una vittoria in tribunale che dà un senso in più ad anni di rabbia e di lacrime e anche, in parte, alla decisione altamente politica di ritirarsi dal mondo del cinema. Pur facendo in qualche modo parte di quel 95% di donne che, dopo aver denunciato violenze sul posto di lavoro, finiscono per perderlo, quel lavoro, lei aveva deciso di andarsene di sua volontà prima di essere fatta sparire o lasciata nell’ombra da un mondo che non vuole aprire gli occhi sulla realtà delle violenze al suo interno.
Nel frattempo, Adèle Haenel ha continuato a lottare e portato avanti la sua battaglia davanti ai giudici, che le hanno dato ragione, condannando in primo grado il regista Christophe Ruggia per aggressione sessuale su minore. Ruggia, che era accusato di aver ripetutamente molestato l’attrice quando lei aveva tra i 12 e i 14 anni e lui poco meno di quaranta, dovrà scontare una pena di quattro anni, di cui due di carcere commutati in domiciliari con braccialetto elettronico. L’accusa ne aveva chiesti 5 in tutto. L’uomo dovrà anche versare 35 mila euro alla sua vittima per i danni morali e per rimborsare anni di psicoterapia, poco più della metà di quanto chiesto dall’accusa ma comunque un riconoscimento della sofferenza psicologica che ha dovuto affrontare. Il regista ha già annunciato che presenterà appello.
Il processo è durato solo due giorni, a inizio dicembre, ma è stato particolarmente intenso. Soprattutto per l’evidente tensione di Haenel che, dritta come un fuso e scossa da spasmi nervosi, ha descritto le molestie subite ogni sabato pomeriggio per due anni e l’impossibilità di allontanarsi da un uomo che le ripeteva di averla creata e di come fosse “un’adulta nel corpo di una bambina”. Alla fine l’ex attrice non è più riuscita a contenere la rabbia davanti all’atteggiamento del regista, che ha sempre negato le accuse e che, con aria quasi divertita, raccontava ai giudici di aver cercato di proteggerla dalle possibili conseguenze dell’uscita del film, una storia di incesto tra fratello e sorella molto esplicita, consigliandole di usare uno pseudonimo. “Tappati la bocca”, aveva urlato a quel punto Haenel lasciando l’aula.
Ruggia, che per difendersi ha descritto una ragazzina di 12 anni dalla “sensualità travolgente” da cui lui “non si è mai sentito attratto”, ha presentato le accuse come un atto di vendetta per non averla più fatta recitare nei suoi film. Lui non sarebbe altro che un capro espiatorio, perché: “Bisognava far partire un #MeToo francese ed è toccato a me”. I giudici hanno concluso altrimenti.