Tra la sera del 28 e quella del 29 gennaio, l’Ucraina ha lanciato oltre cento droni in territorio russo.
Lo ha detto lo stesso ministero delle difesa di Mosca, aggiungendo di averli quasi tutti intercettati.
Mettendo insieme le notizie arrivate da Kyiv, ma anche quelle ufficiali e non ufficiali provenienti dalla Russia, sembra che un impatto ci sia stato. Un drone avrebbe per esempio colpito un’importante raffineria a oltre 800 chilometri dal confine ucraino e per diverse ore sarebbe stato sospeso il traffico aereo nella zona occidentale del paese. A Belgorod, a ridosso della frontiera ucraina, le autorità locali hanno anche denunciato la morte di due civili.
Nelle stesse ore anche la Russia ha lanciato diversi droni in territorio ucraino. Non si hanno in questo caso notizie di vittime.
Sul campo, lungo l’infinita linea del fronte, gli scontri continuano come nelle ultime settimane. I russi hanno conquistato ancora terreno nella regione di Donetsk. Hanno occupato un altro villaggio e secondo diversi analisti militari sono nella condizione di poter avanzare ancora. Gli ucraini, come succede ormai da mesi, starebbero semplicemente rallentando l’avanzata russa. Le truppe di Mosca procedono molto lentamente, ma in linea con la loro strategia adottata ormai da tempo: un villaggio alla volta, una cittadina alla volta. Strategia possibile vista la grande superiorità in termini di uomini e la notevole disponibilità di armi. Costi quel che costi.
A nord gli ucraini continuano invece a mantenere il controllo di una parte della provincia russa di Kursk.
La domanda, a questo punto, è fino a quando la guerra andrà avanti in questo modo.
L’arrivo di Trump ha prodotto molte aspettative, in tutti i sensi. Entrambe le parti, almeno a parole, hanno introdotto in maniera strutturale la parola negoziato nel loro discorso politico.
Questa settimana lo ha fatto anche Putin, aggiungendo però che non vuole trattare con Zelensky, perché non sarebbe un presidente legittimo, visto che in Ucraina non ci sono più state elezioni a causa della guerra – avrebbero dovuto tenersi lo scorso anno, 2024.
Il presidente ucraino ha risposto che Putin ha paura di trattare. Ma tutto questo, da una parte e dall’altra, rientra nella propaganda.
Il punto è capire se a un certo punto si arriverà, o meno, a un vero negoziato.
Come era scontato Trump non ha fermato e nemmeno risolto la guerra in Ucraina nelle prime 24 ore alla Casa Bianca. Ma è chiaro come il suo obiettivo sia quello di fermare il conflitto e di forzare le parti a una trattativa.
Che tipo di trattativa?
Come è evidente anche su altri dossier il presidente americano si porta dietro una discreta dose di imprevedibilità. Bisognerà capire come si svilupperà il suo rapporto personale con Putin, quanto deciderà di forzare Zelensky, e quanto la sua amministrazione coinvolgerà o meno l’Europa, diretta interessata per continuità territoriale ma che rischia di rimanere ai margini di una possibile futura architettura intorno all’Ucraina.
Alcuni punti sembrano però fermi.
Il primo. Kyiv dovrà rinunciare a una parte del suo territorio e non potrà riprendere il controllo di tutto il sud e l’est occupato da Mosca in questi tre ann. Discorso che comprende anche la Crimea.
Il secondo, più di carattere generale. La fine della guerra, che potrebbe arrivare nel 2025, non sarà una pace. Troppa la distanza tra le parti. Sarà un cessate il fuoco e sarà il congelamento di un quadro che potrebbe rimanere poi tale per lungo tempo.
Rimangaono due variabili, a parte quella legata alla strategia di Trump.
Il futuro rapporto tra Ucraina e NATO. La possibilità che di fronte all’intransigenza russa il presidente americano decida di fare esattamente il contrario di quanto detto finora, puntare al 100% sulla soluzione militare con un maggior supporto a Kyiv.