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Processo Open Arms: la doppia vittoria di Salvini

processo Open Arms, Salvini assolto. I giornalisti assiepati fuori dell'aula bunker di Palermo

La sentenza di piena assoluzione rilancia Salvini, ora che era ai minimi, ai margini al governo, contestato nella Lega. Non che i suoi problemi siano terminati, ma il ministro, il quale per primo aveva politicizzato il processo ora può vedere una via di uscita dall’angolo in cui stava, provando a rubare la scena a Meloni. Lei ha l’Albania, lui la vecchia storia del difensore dei confini della Patria. “Lo abbiamo votato per questo” dicevano i suoi fan arrivati ieri dalla Valtellina per aspettare la sentenza. Appunto.
La sentenza è un bagno di realtà per quella opinione pubblica che invece non sta con Salvini e Meloni, che aveva a sua volta politicizzato il processo, che sperava nella condanna e che ora, dopo l’assoluzione denuncia una “decisione politica”.
La politica non si fa con la famigerata via giudiziaria. Dovrebbe essere chiaro da decenni. Per i partiti invece, ora gli alibi sono finiti. Non li ha più Salvini che non potrà fare il martire, non li ha Meloni che non può gridare alle toghe rosse, non li hanno le opposizioni che devono tirare fuori proposte diverse sull’immigrazione. Se ne possiedono la volontà politica.

Processo Open Arms: Salvini assolto

Aveva gli occhi rossi Salvini alla fine, mentre diceva: “Difendere i confini della Patria non è reato”. Aveva gli occhi rossi alla fine anche la dirigente tedesca di una ONG, che diceva: “I giudici sono stati influenzati dalla politica”. Il processo Open Arms è stato politicizzato da subito da Salvini e anche da molti suoi oppositori, e alla fine l’assoluzione piena è per lui una doppia vittoria, a dimostrazione perenne che la via giudiziaria non è mai la strada per la politica. Il processo Open Arms è durato tre anni. La lettura della sentenza è durata 30 secondi, mentre fuori c’erano acqua e vento. Dentro, qualche applauso leghista, Valditara felice, Salvini e la compagna commossi, l’avvocata Bongiorno di nuovo trionfante in un’aula bunker palermitana, dopo che ottenne l’assoluzione di Andreotti dalle accuse di mafia. In fondo, il gelo delle militanti antirazziste siciliane che speravano di fare festa e se ne vanno in silenzio sotto la pioggia, in disparte, mentre le telecamere sono tutte addosso al ministro e all’avvocata: urla, spinte, microfoni e fari puntati. “Ha vinto il diritto”, dice lei. “Ha vinto la mia politica”, dice lui. Sei anni sono tanti da scontare, si è tolto un macigno e si vedeva: prima della sentenza era pallido, poi non più. La voce all’inizio è emozionata, via via sale la rabbia. “I confini, la Patria”, ripete. Poi scappa a registrare una trasmissione TV. Inizia a grandinare. Una tempesta così non si vedeva a Palermo da tanto tempo, dicevano gli autisti che riportavano tutti in centro.

  • Autore articolo
    Luigi Ambrosio
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