L’ufficiale giudiziario oggi si è presentato giusto per consegnare l’avviso di sfratto al Leoncavallo, e nulla più. Entrato in sordina dal portone di via Watteau, se n’è andato poco dopo, dando appuntamento alla prossima visita, tra sei settimane.
Ad attenderlo, accompagnati da musica e cibo, circa trecento persone, richiamate dall’appello per un presidio solidale lanciato dal centro sociale. Obiettivo raggiunto. Se il Leoncavallo chiama, una certa Milano risponde. Lo ha detto anche Daniele Farina, storico portavoce del Leonka, ringraziando gli intervenuti.
Ma non bisogna abbassare la guardia. Quello di oggi è stato solo il primo atto, dopo la sentenza della corte d’appello di Milano che lo scorso nove ottobre ha condannato il ministero dell’interno al pagamento di oltre tre milioni di euro alla società “L’Orologio” del gruppo Cabassi, proprietaria dell’area, per il mancato sgombero del centro sociale.
“È evidente che la sentenza ha cambiato le carte in tavola, e ora bisogna prepararsi a uno scenario diverso”, ha osservato Farina. Tradotto, bisogna trovare una soluzione, e alla svelta. Prima della prossima visita dell’ufficiale giudiziario attivisti e attiviste del Leoncavallo convocheranno un’assemblea pubblica, per discutere tutti insieme il da farsi.
All’orizzonte c’è la possibilità, concreta, che dopo 30 anni di attività in quel posto si debba cambiare. Il comune di Milano si è detto disponibile al confronto. Soluzioni in passato prospettate, una permuta coi Cabassi, uno scambio di aree, sembrano non più percorribili. Serve ora una presa di posizione netta della politica. Perché il Leo è stato, è, e sempre sarà, un patrimonio della città. E per la città.