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25 novembre nelle piazze e nelle aule giudiziarie

25 NOVEMBRE

25 novembre, ore 12. Alla Corte d’Assise di Venezia, il pm Andrea Petroni chiede l’ergastolo per Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin. Mezz’ora dopo, sentenza di carcere a vita, a Milano, per Alessandro Impagnatiello, che uccise la sua compagna incinta Giulia Tramontano. L’aula applaude, c’è il pubblico tra i banchi, sono in maggioranza donne. I familiari della vittima piangono, la mamma esce dal Tribunale portando dei fiori che le sono stati donati oggi, al termine di questo percorso triste e faticoso che è stato il processo. “Oggi non abbiamo vinto, ha detto ai giornalisti, abbiamo perso in tutto”. Dal cortile del Palazzo sembra osservare la scena la grande statua che rappresenta la Giustizia: una donna su un alto piedistallo che ha una spada della mano destra. Ha proprio ragione la signora Tramontano, oggi non vince nessuno, e soprattutto nessuna. Fa uno strano effetto che la Giustizia consista nel mettere in cella l’ uomo violento e buttare via la chiave.
A Milano e in altre città oggi ci sono stati cortei che ancora una volta hanno portato in piazza molte ragazze e loro coetanei maschi: c’è una generazione più consapevole che si affaccia all’età adulta. Ora però il lavoro va fatto con i bambini e le bambine, perché imparino prima di tutto il rispetto reciproco, che li porterà da grandi a rapporti più sani.
La Destra di Governo su questo non ha fatto niente, niente sul piano economico per la promozione dell’autonomia delle donne, mentre insiste nell’additare gli immigrati come i maggiori responsabili delle violenze di genere – Giorgia Meloni lo ha ripetuto anche in questo 25 novembre.
A fine giornata, nel consuntivo entrano tante cose. La giustizia che fa il suo corso per punire gli uomini violenti, ma lascia l’amaro in bocca. La politica che sembra arrivare sempre tardi rispetto a ciò che sarebbe necessario. Ma anche quell’annuncio ascoltato sull’autobus: “Se sei vittima di violenza, chiama il 1522: risponde sempre qualcuno”. Piccole cose, segnali di attenzione per un tema mai così presente nel dibattito pubblico.

  • Autore articolo
    Lorenza Ghidini
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    Alessio Boni presenta "Uomini si diventa"

    Il femminicida non è un malato, ma un figlio sano del patriarcato, cresciuto in una cultura che considera la donna un essere inferiore. Da proteggere, sminuire, controllare, e nei casi più estremi, da picchiare o uccidere. In Italia, ogni tre giorni una donna viene uccisa, spesso per mano di chi dovrebbe amarla. E oltre agli omicidi, un sommerso di violenze – dal catcalling alla violenza psicologica – pesa sulle donne, mentre la società si interroga troppo poco sulle sue responsabilità. Da questa riflessione nasce il progetto ideato dal Teatro Carcano, scritto da otto autori uomini e interpretato da Alessio Boni e Omar Pedrini, un viaggio nella mente del carnefice per analizzare il retaggio culturale che alimenta la violenza di genere. Inaugurato il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, lo spettacolo è un atto di autocoscienza collettiva che punta a smantellare le radici patriarcali della nostra cultura. Ospite a Cult, Alessio Boni ne ha parlato con Ira Rubini.

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    Celebriamo un venerdi carico di belle uscite approfondendo il lavoro di Kim Deal, artista della settimana, "Nobody Loves You More" e presentando i nuovi dischi di Michael Kiwanika e Father John Misty, ci colleghiamo telefonicamente con Howe Gelb che suona live a Milano stasera e parliamo del premio Ciampi con un escursus su i vincitori e l'annuncio del ricchissimo disco postumo di inediti in uscita

    Jack - 25-11-2024

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