Tra poche ore la Corte d’Assise di Milano emetterà la sentenza per Alessandro Impagnatiello, che uccise la sua compagna Giulia Tramontano, incinta, 18 mesi fa. Un assassino che aveva le chiavi di casa, come accade nella grande maggioranza dei femminicidi, lo si ricorda sempre nei cortei femministi, quando si fanno tintinnare le chiavi verso il cielo.
Che pena sentire il ministro dell’Istruzione accusare gli immigrati irregolari. Che imbarazzo vedere il presidente del Senato inaugurare una panchina rossa a cui ha fatto aggiungere una listella tricolore, come se quel rosso gli suonasse “comunismo”. Il Paese, per fortuna, è più avanti di chi lo governa. Nelle scuole le prof non aspettano l’educazione sessuale promessa da Valditara e mai organizzata.
I cortei femministi hanno richiamato anche quest’anno moltissime persone. Un altro ci sarà stasera a Milano. Sabato a Roma risuonava nella piazza l’espressione “l’anno scorso”. Tutti e tutte a chiedersi se sarebbe stata una marea come nel 2023, a una settimana dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin. Non erano gli stessi numeri, ma è stata una fiumana con tanti giovani maschi consapevoli che forse l’anno scorso si sono fatti delle domande e hanno deciso di mostrarlo.
Le chiamate al 1522, impennate dopo la morte di Giulia Cecchettin, non sono calate. Significa che c’è una maggiore consapevolezza di cosa è violenza e di quali sono i segnali che devono preoccupare. Il patriarcato è un animale ferito, per questo gli uomini continuano a uccidere, anche quest’anno una donna ogni tre giorni. Non resta che impegnarsi per una cultura diversa con le nuove generazioni e sostenere le donne di oggi con politiche che le rendano economicamente autonome. In Italia una donna su cinque non ha un suo conto corrente, secondo alcune ricerche addirittura una su tre.