I messaggi ambigui e riluttanti della maggioranza e del governo italiani sul mandato di arresto per Netanyahu e Gallant da parte della Corte Penale Internazionale. La sintesi del cerchiobottismo italiano la fa il ministro della difesa Crosetto: “È una sentenza sbagliata ma dovremmo applicarla” se il premier israeliano Netanyahu e l’ex ministro della difesa di Tel Aviv venissero in Italia. Prima di lui il ministro degli Esteri Tajani aveva cercato di uscire dall’impasse ricordando il sistema di alleanze del nostro paese: “Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda”, non prima di avere ricordato che la Corte “deve svolgere un ruolo giuridico e non politico”.
Sono parole che servono a tenere insieme quello che insieme fatica a stare: l’adesione dell’Italia alla Corte Penale Internazionale, che ci obbliga ad applicarne i mandati, e l’orientamento politico filo Netanyahu della maggioranza di governo. Parla la Lega, che ha le mani più libere: “Richiesta assurda, una sentenza politica filo-islamica, che allontana una pace necessaria” fanno sapere dal partito di Salvini.
Quella leghista è la pancia, per così dire, del governo. Ma non solo la pancia. Quella leghista è una posizione in perfetta sintonia col pensiero trumpiano. Meloni per il momento se ne sta in silenzio. La questione dal punto di vista politico per lei è incandescente. Per il futuro, abituiamoci a questa dinamica: da una parte le collocazioni internazionali tradizionali del nostro paese, dall’altro il richiamo della foresta dell’asse sovranista mondiale, che oggi annovera il partner più forte di tutti, gli Stati Uniti, e che su Netanyahu ha le idee chiarissime: “è uno di noi”.