Nella puntata di Pubblica di lunedì 18 novembre 2024, Raffaele Liguori ha intervistato la professoressa Alessandra Algostino sulla semi-bocciatura della legge da parte della Corte Costituzionale.
La legge sull’autonomia differenziata, nota come legge Calderoli e tecnicamente identificata come legge 86 del 2024, attua l’articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Questa norma prevede che possano essere attribuite ulteriori forme e condizioni di autonomia alle regioni a statuto ordinario mediante legge dello Stato. Sebbene sia una legge di attuazione, non è strettamente necessaria, poiché la Costituzione già contempla l’articolo 116, specificando le modalità per l’attribuzione di tali forme di autonomia. La legge Calderoli presenta un modello di regionalismo che si discosta da quello stabilito dalla Costituzione.
In effetti, si sarebbe potuto fare a meno di questa legge, poiché l’articolo 116 delinea già un procedimento. Nel 2018 e nel 2019 erano state stipulate delle pre-intese durante i governi Gentiloni e Conte I, avviando così il procedimento. Questa legge è procedurale e ordinaria, il che consente che possa essere modificata da una legge ordinaria successiva, come quella che prevede un’intesa; pertanto, non è vincolante. Ciò che rileva, a mio avviso, è il segno politico che si è voluto dare con questa legge: l’idea di un modello di regionalismo competitivo, piuttosto che solidale, come previsto dalla nostra Costituzione. Quest’ultima riconosce il principio di autonomia delle regioni, ma lo colloca nel contesto dell’unità e della solidarietà, garantendo i diritti e l’uguaglianza.
La Corte costituzionale non ha accolto la questione dell’illegittimità costituzionale dell’intera legge, ma ha smontato e svuotato i suoi assi portanti. Innanzitutto, ha ribadito quale sia il modello di regionalismo previsto dalla Costituzione: un modello improntato alla solidarietà e all’uguaglianza, in linea con il principio di unità della Repubblica. La Corte ha anche richiamato l’importanza del principio di centralità del Parlamento, sottolineando che su queste questioni deve intervenire il Parlamento. Uno degli obiettivi principali della legge Calderoli era infatti quello di costruire un meccanismo incentrato sugli esecutivi, in particolare sul Presidente del Consiglio dei ministri e sul Presidente della giunta regionale.
Al contrario, l’articolo 116 della Costituzione riserva un ruolo significativo alle Camere, stabilendo che l’intesa deve essere stipulata e poi approvata dalle Camere. Nella legge Calderoli, invece, l’intervento delle Camere era sostanzialmente di tipo ratificatorio: le Camere potevano essere consultate e, al termine del procedimento di stipula dell’intesa, accettarla o meno. La Corte costituzionale ha ricordato che il ruolo del Parlamento deve essere centrale e sostanziale, non solo formale. Questo è uno degli aspetti fondamentali della sentenza della Corte, che rappresenta un richiamo importante alla centralità del Parlamento in una forma di governo parlamentare come la nostra.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un processo di verticalizzazione del potere, con una crescente concentrazione nell’Esecutivo e, in particolare, nella figura monocratica del Presidente del Consiglio dei ministri, in direzione di una riforma del Premierato. Tuttavia, al di là di questa riforma, stiamo già vivendo un Premierato di fatto, poiché la forma di governo parlamentare prevede un rapporto di responsabilità politica del governo nei confronti del Parlamento. Oggi, invece, sembra che ci sia un’inversione: il Parlamento è chiamato a rispondere al Governo nel recepire rapidamente le sue decisioni. Gran parte del tempo del Parlamento è attualmente dedicato alla ratifica, ad esempio, della conversione in legge dei decreti-legge, oltre all’esame di leggi di iniziativa governativa. In questo modo, i tempi e l’ordine del giorno del Parlamento sono quasi nelle mani dell’Esecutivo.